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 2010  ottobre 02 Sabato calendario

FEDERICO, DESERTO ROSSO

Tradirono. Divisa, ruolo e coscienza. Picchiarono. Per la metà di un’ora, uccidendo in un solo colpo diciott’anni. Occultarono le prove e ne crearono di false, in un corporativismo di maniera, senza ideali, bandiere o prìncipi. Venticinque settembre del 2005. Quattro poliziotti italiani, un ragazzo, una città, due genitori. Tutto in un’alba scura, al riparo dalla verità. Federico Aldrovandi chiese aiuto. Non lo ascoltarono. Morì per lo schiacciamento della gabbia toracica, dopo una colluttazione violenta (manganelli, sangue, sadismo) in una via di Ferrara, dopo un ultimo viaggio bolognese, incontrando un destino che oggi, analiticamente, Filippo Vendemmiati fa rivivere in un documentario esemplare, (È stato morto un ragazzo, Promomusic, 19,90 euro, libro + dvd) in cui la cronaca prevale sul sentimento. L’unica strada possibile per una piccola storia ignobile di sopruso e vergogna, in cui cadere nell’inganno dell’urlo fine a se stesso, sarebbe stato facilissimo.

Scavare nell’orrore

per sapere tutto

VENDEMMIATI, per lungo tempo ha seguito lo sport. Dove precisione, numeri e tabellini, vengono prima della poesia. E nella vicenda di Aldrovandi- mentre Patrizia Moretti, la madre cuce pazientemente i ricordi sul suo blog, (il filo di Arianna per non perdere coordinate e senso confusi dal dolore) e il padre Lino, agente della municipale, attraversa dritto la scissione tra dovere, amore e ricerca-l’orrore la soffoca. E spegne le gite al mare, gli occhiscurieseveridelragazzo,igiochi infantili, lo sguardo di suo fratello. Perché sapere, anche se fa male,èpiùimportante.Echiedersi come si possa, andare via così senza un perché in un giorno di festa che improvvisamente, vira a lutto, fondamentale. Ci è voluta pazienza, pazienza e coraggio, per affondare naso, muscoli e autocontrollo, nel maleodorante bidone della menzogna di Stato. Nell’ascoltare telefonate tra uomini delle forze dell’ordine tagliate di netto: “Per poter parlare più liberamente”,comesostienecandido un agente, riferendosi alle conversazioni immediatamente successive all’omicidio: “È morto? Vabbuò” e provare a chiudere le orecchie, nel gracchiare sconnessodellevolanti,mentremezza Questura di Ferrara è in Via dell’Ippodromo (ultima stazione di Federico) e l’altra mezza indifferente , impaurita. Frasi che chiudono il cerchio prima ancora di aprirlo: “L’importante è che non vadanoneiguaiicolleghi”.Così,il viaggio di Vendemmiati, fa della disarmante concatenazione degli eventi la sua bussola. E trova la direzione, facendosi da parte. Non indignato apologo sull’ingiustizia, ma specchio per riflettere un certo modo di sentire che all’epilogo funebre portò.

Lo bastonammo per

bene e fu giusto

ENZO Pontani, uno dei quattro occupantidiAlphadueeAlpha3, le due volanti accorse sul posto il 25 settembre, un istante prima della pietà, condannati a 3 anni e sei mesi di carcere, esprime sentimenti che senza sociologismi o interpretazionidadivanetto,molto raccontano sul perché Aldrovandi, a casa, non rientrò più. “Sembrava un extracomunitario” e poi, conseguentemente, tentando di giustificare due manganellispezzatiefattisparire,ireferti alterati, le amnesie dei medici legali le troppe inammissibili omissioni, la difesa d’ufficio dei colleghi: “Era quello che dovevano fare e l’hanno fatto in maniera perfetta”. Coerenza con quello che quella notte, sempre per la stessa voce, rimase impresso su nastro: “L’abbiamo bastonato di brutto” e poi, in tribunale, senza apparenti emozioni: “Era solo un modo di dire, un po’ come l’Olanda che bastona di brutto l’Italia”. Una partita, un divertimento, una cosa da nulla. Tra il prima e il dopo, tra l’incubo e un sogno di parzialegiustiziachenullarestituisce perché niente, come dice Patrizia,puòfermaretempoeassenza, il risveglio di Ferrara. La città descritta da Antonioni, impegnata a irrigare il rosso deserto del sangue inutile, della prova di forza vigliacca, dello sterminio di ciò che non si capisce, inquieta e va quindi estirpato. Come un erbaccia, un fiore del male, un errore. Drogati, froci, comunisti. “Ci vorrebbe la benzina qui”, ironizza una voce anonima. Quella di un poliziotto,mentreuncollegaindicala via: “Dovete dire che si è ammazzato da solo” e Federico, al sole della prima mattina, non merita neanche un lenzuolo per essere coperto. Ferrara, informata, reagì. Proteste e atti concreti. Il cambio del questore, del magistrato inquirente, la presa di coscienza collettiva, le manifestazioni, la brecciaprimainvisibileepoiinarginabile nell’omertà. Perchè nei tantifalsimovimentidiunprocesso che a un tratto, evade dall’Emilia per incarnare qualcosa di più profondo, paradigmatico, basilare , si muovono anche le amicizie un tempo fraterne che lo strappo del 25 settembre, eliminerà per sempre. Quella tra un uomo della Digos, Nicola Solito (colui che riconoscerà Federico e per primo consiglierà a Lino Aldrovandi di cercare un avvocato) e il padre del ragazzo. Un rapporto che al tormento e alle pressioni dei colleghi (giudicanti e giudicati, sotto lo stesso tetto) non resisterà e che produrràunalettera,incuilosbirro chiede scusa a Federico, vergando un ‘ammissione di sconfitta e rimpianto tardivo che rimane in testa anche a proiezione finita: “Gente che è arrivata a fare quello che ha fatto è capace di tutto”. Faro illuminante sull’ulteriore peso che con santa dignità, familiari e amici di Aldro saranno chiamati a sopportare,traintimidazioni,volgarità e disperati tentativi di sovvertire l’esito del dibattimento. Accadequandounodegliavvocati degli agenti imputati (Segatto, Pollastri, Forlani, Pontoni) provoca la madre: “Federico prendeva drogaeilfattochePatriziaMoretti faccia finta di non saperlo, mi fa pena”. Avviene inutilmente. L’esametossicologicodimostrerà che Federico aveva bevuto una birra e fumato uno spinello e allora, il labiale del ‘vaffanculo’ della donna è liberatorio, sacrosanto,effimero:“Hosemprepensato che sopravvivere a un figlio fosse insostenibile ora mi accorgo che una parte di me non ha più luce futuro, respiro”. Un Cristo giovane , un Pasolini straziato all’idroscalo, un Carlo Giuliani, un Gabriele Sandri. Aldro. Un ragazzo caduto in una rete imprevedibile, ricordatoognidomenicadaitifosi dellaSpal(cheall’epocadiMazza, Reja e Capello, era la squadra di unacittàtranquillaesenzaasprezze) con un grido chiaro: “Giustizia per Federico”. Il questore Graziano, come l’omologo Guida conPinelliquasi4decenniprima, fornì ai genitori di Aldro l’inquietanteesempiodiuntempoimmobile e di un vizio ripetuto: “Succede anche nelle migliori famiglie”. Sul malore attivo dell’anarchico Aldrovandi, la finestra non sièchiusa.Federicoèvolatovialo stesso, ma oggi, chi alza gli occhi al cielo, lo fa a testa alta.