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 2010  ottobre 02 Sabato calendario

L’ABBIGLIAMENTO LOW COST, PER VOCE ARANCIO


Zara, Gap, H&M: insieme hanno 10mila negozi.

«Nel mercato italiano stanno cambiando i competitor: H&M è cresciuto del 23%, Ovs Industry del gruppo Coin ha rilevato Upim entrando a sua volta in competizione con Zara. Nella moda la crisi ha amplificato la frattura tra gamma alta e bassa. Se prima il target delle grandi catene erano soprattutto i giovani, ora la situazione è cambiata» (Italo Piccoli, professore di Sociologia dei consumi alla Cattolica di Milano).

Se le vendite delle grandi case di moda hanno subìto, complice la difficile congiuntura economica e l’avanzare degli outlet, una battuta d’arresto, i colossi dell’abbigliamento low cost, Zara e H&M in testa, fanno affari d’oro. I motivi, essenzialmente due: prezzi bassi e rinnovamento continuo della merce.

Ma come fanno le catene dell’abbigliamento ad abbassare così tanto i prezzi? Zara, per esempio, si occupa senza affidarle a terzi di tutte le fasi della produzione (creazione, produzione e distribuzione). Di conseguenza i tempi si accorciano: se all’industria dell’abbigliamento servono in media nove mesi per mandare una collezione in negozio, a Zara, grazie ai suoi 280 stilisti che disegnano 27mila modelli l’anno, bastano due settimane. Risultato: niente stock e poco invenduto in caso di errore di tendenza. Il catalogo, come avviene per H&M, cambia in continuazione: alle classiche collezioni primavera/estate e autunno/inverno si aggiungono decine di micro-collezioni realizzate tenendo conto dei capi più venduti e di quelli più richiesti. I negozi ricevono la merce ogni settimana e anche questo attira la clientela: se in un negozio tradizionale si entra in media quattro volte l’anno, da Zara e da H&M ci si fa un giro al mese. Altro fronte di risparmio, il taglio della pubblicità. Le grandi firme spendono in media il 3,5% del loro budget per le campagne di comunicazione, Inditex, il gruppo cui appartiene Zara, investe lo 0,3%. Per risparmiare ancora di più H&M delocalizza la produzione: tutti i suoi capi arrivano da Bangladesh, Thailandia, Cina ecc.

«Vendere gli abiti prima che si vendano» (motto di Amancio Ortega, fondatore e proprietario di Zara).

Leggenda dice che Gap non sia mai riuscito ad aprire a Milano perché le aziende del quadrilatero della moda gli hanno impedito di comprarsi uno spazio.

Il primo negozio Gap in Italia, 2000 metri quadrati distribuiti su tre piani in vetro blu, marmo e legno, aprirà il 20 novembre in corso Vittorio Emanuele a Milano. Nello store saranno esposte le collezioni uomo, donna e maternità, Baby Gap e Gap Body. Anche Banana Republic, altro marchio di Gap Inc., avrà il suo spazio milanese: aprirà il 2 dicembre, sempre in Corso Vittorio Emanuele a Milano, e sarà grande 1600 metri quadrati.

Di fronte a Gap c’è l’ingresso del negozio a tre piani di Zara. Di fianco, una a destra, l’altra a sinistra, le insegne di H&M.

Nei prossimi mesi Gap aprirà a Roma negli spazi usati fino a oggi dalla libreria Mondadori di via del Corso. Sempre in via del Corso si lavora alla Zara Tower, in cantiere dove fino a pochi mesi fa c’era la Rinascente.

Tra i capi della collezione autunno-inverno Gap: blazer in pelle (233 euro); abito da donna con volant (46 euro); leggins (15 euro); pantaloni da uomo (39 euro) ecc.

Per celebrare l’arrivo di Gap in Italia Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, direttori creativi di Valentino, disegneranno otto pezzi in esclusiva per il negozio di Milano. La galleria 10CorsoComo di Carla Sozzani dal 25 settembre per due settimane esporrà magliette, felpe e borse Gap in edizione limitata.

Nata nel 1969 a San Francisco da un’idea di Doris e Don Fisher, oggi Gap Inc. è la seconda catena di abbigliamento al mondo dopo la spagnola Inditex. Si racconta che più di quarant’anni fa l’imprenditore immobiliare Donald Fisher avesse grosse difficoltà nel trovare jeans comodi. Per questo aprì a San Francisco, dove ancora oggi c’è la sede ufficiale di Gap, un negozio specializzato in denim (Levi’s soprattutto) e dischi. L’idea del nome fu di sua moglie Doris: “gap” stava per “generation gap” e doveva rappresentare la distanza tra genitori e figli nel modo di vestire. Dopo cinque anni i Fisher cominciarono a produrre la propria linea di jeans.

Oggi Gap Inc. è una holding che controlla anche Banana Republic, Old Navy, Piperlime e Athleta, ha 3100 punti vendita (170 in Europa) e 135mila dipendenti. Nel 2009 il suo fatturato è stato di 14,2 miliardi di euro e i numeri sono in crescita: nel solo mese di luglio le vendite sono aumentate del 3%.

Gap ha avuto la copertina di Vogue America due volte. Nessuna catena d’abbigliamento ha fatto meglio.

Dal 2007 alla direzione creativa di Gap c’è Patrick Robinson, stilista che in passato ha lavorato con Giorgio Armani, Anne Klein e Paco Rabanne: «Non creo più pezzi unici che le persone mettono per le occasioni importanti ma capi fondamentali che indossano ogni giorno. Ora le mie scelte incidono su larga scala in tutto il mondo».

Sharon Stone, che nel 1996, candidata all’Oscar come migliore attrice per Casino di Martin Scorsese, si presentò al Los Angeles Music Center con un dolcevita Gap su una gonna Valentino.

Per quanto riguarda gli acquisti online, fino a poco tempo fa si poteva comprare soltanto dal sito americano (negli Stati Uniti Gap fattura in rete il 7,7% del totale). Da gennaio c’è anche il sito Gap cinese, lanciato contemporaneamente all’inaugurazione dei primi negozi in Cina, tra poco partirà il portale per la Gran Bretagna.

Proprio sul commercio online ha puntato Zara, che lo scorso 2 settembre ha inaugurato il sito per vendere in rete in Spagna, Germania, Francia, Italia, Portogallo e Regno Unito. Zara.com, dove si trovano tutti i prodotti disponibili allo stesso prezzo dei negozi, offre diverse possibilità di acquisto: si può fare un’ordinazione gratuita e ritirare quanto scelto nel punto vendita più vicino oppure scegliere tra spedizione standard (3,95 euro, arrivo entro cinque giorni lavorativi) e spedizione express (9,95 euro arrivo entro due giorni lavorativi). Se non si è soddisfatti, il rimborso arriva entro 30 giorni. A breve gli ordini si potranno fare anche da iPhone e iPad.

Zara, nata nel 1975, fa capo al gruppo iberico Inditex (Industrias de Diseño Textil Sociedad Anònima) di Amancio Ortega, per Forbes uomo più ricco di Spagna e nono più facoltoso al mondo. A Inditex appartengono anche Pull and Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius, Oysho, Zara Home e Uterque.

Negozi Zara nel mondo: 4.705. Quello in cui si incassa di più è il punto vendita di corso Vittorio Emanuele a Milano, inaugurato nel 2001.

Tra il primo febbraio (inizio dell’esercizio fiscale) e il 7 giugno le vendite Inditex sono aumentate del 13%. Fatturato del gruppo nei primi sei mesi del 2010: 2,66 miliardi di euro.

Nel 2009 tra scarpe, abiti, accessori ecc. Zara ha venduto 768 milioni di pezzi.

Samantha Cameron, moglie del premier britannico, vista spesso in giro con abiti dei grandi magazzini e scarpe Zara da 30 euro.

La prossima mossa di Ortega sarà l’apertura di un negozio Bershka in corso Vittorio Emanuele a Milano. Il marchio si rivolge soprattutto alle adolescenti: non a caso l’evento è stato organizzato in collaborazione con Mtv. Nei prossimi mesi, inoltre, Zara Home occuperà lo spazio di mille metri quadrati di piazza San Babila dove fino a poco tempo fa c’era l’Inter store.

Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, fotografato da Novella2000 mentre faceva shopping da H&M con la moglie.

Svedese, fondata nel 1947 da Erling Persson, H&M in origine si chiamava Hennes, che vuol dire «per lei» e vendeva soltanto roba da donne. Nel 1968 Persson acquistò un negozio di Stoccolma, Mauritz Widforss, che vendeva abiti maschili. In poco tempo i due negozi furono uniti: rinominata Hennes & Mauritz, H&M, l’azienda aprì nuovi negozi. Oggi alla guida di H&M c’è Stefan Persson, figlio di Erling, i negozi sono 1600 in 37 paesi, i dipendenti più 76.000. A luglio le vendite sono aumentate del 10%.

Nel 2004 H&M ha inaugurato le sue collaborazioni con grandi stilisti: il primo a disegnare una collezione è stato Karl Lagerfeld, poi ci sono stati Stella McCartney, Victor & Rolf, Roberto Cavalli, Comme des Garçons ecc.

Madonna, dopo aver commissionato a H&M i costumi del Confessions Tour del 2006, ha disegnato per il colosso svedese la linea M by Madonna.

L’anno scorso è stato il turno di Jimmy Choo. Per accaparrarsi qualche pezzo della collezione molte hanno dormito in macchina e fatto code di otto ore. A Parigi le scorte sono finite in due ore. Ogni cliente poteva acquistare un solo capo per modello e taglia. Il prezzo più costoso della collezione erano stivali di pelle alla coscia da 200 euro.

Prossimi guest designer di H&M saranno Alber Elbaz di Lanvin per la collezione donna e Luca Ossendrijver per l’uomo. Margareta Van Den Bosch, creative advisor di H&M: «È un progetto fantastico, siamo entusiasti perché Lanvin porta il lusso della tradizione francese arricchita da elementi vivaci e moderni». La linea donna sarà formata da 35/40 capi, quella da uomo 25 al massimo. Disponibile dal 23 novembre, sarà venduta in poco più di 200 negozi in tutto il mondo (due in Italia).

«L’elitismo di massa è il mio sogno da molto tempo, penso che fosse ormai mio dovere farlo con il mio nome» (Karl Lagerfeld).

Il direttore artistico di Chanel sta completando Masstige, acronimo di Mass e prestige, la sua prima collezione low cost. La linea, che sarà presentata in primavera, sarà venduta solo su internet.

Jean Paul Gaultier, che dopo aver lasciato la guida di Hermès, ha disegnato una linea di abbigliamento a basso costo. La collezione sarà prodotta dalla società italiana GFM Industries, sarà composta da 40-60 pezzi e arriverà nei negozi in primavera.

O.V.S., cioè “organizzazione vendite speciali”.

Per resistere alla concorrenza la catena italiana Oviesse, da cinque anni parte del gruppo Coin, ha puntato sul cambiamento. Marco Beraldo, amministratore delegato del gruppo Coin: «Abbiamo avuto il coraggio di cambiare quando le cose andavano bene e siamo stati premiati. Nel cambio abbiamo perso il 10% della clientela old ma guadagnato un 25% di frequentatori giovani». Dal 2007 i negozi Oviesse si chiamano Ovs Industry.

Ginevra Elkann, Anna Cataldi, Jacaranda Caracciolo Falk, Alessandra D’Urso, Jessica Einaudi ecc. fotografati nella loro vita quotidiana da Scott Schuman, blogger di The Sartorialist, per Time uno delle 100 persone più influenti al mondo. Sono i protagonisti dell’ultima campagna pubblicitaria Ovs Industry. Tutti i proventi vanno in beneficenza.

Dario Franceschini che, interrogato da Claudio Sabelli Fioretti sui suoi maglioncini blu simili a quelli di Marchionne, ha risposto: «I miei sono dell’Upim».

All’inizio del 2009 Coin ha comprato la catena Upim, attraente per due ragioni: la proprietà immobiliare, moltissimi punti vendita spesso al centro delle città, e il prezzo, 100 milioni di euro. Dei negozi Upim, sessanta saranno Ovs, venti si trasformeranno in Coin, trenta saranno Upim Pop, store come quello appena aperto in corso Buenos Aires a Milano dove si trovano abiti, cibo, libri, profumi, tecnologia ecc.

La linea democratic wear di Coin: lanciata a marzo, proponeva jeans da uomo e da donna disegnati dalla giapponese Yuka Morinishi, a 10 euro. Ne furono venduti 5000 paia, in pratica tutti quelli disponibili, in quattro ore. Dal 25 settembre l’esperimento si ripete: nei punti vendita Coin si potranno acquistare la rain jacket di Sarah Stevenson e le sneakers di Francisco Javier Perez Fagoaga, entrambi a 10 euro. Anche in questo caso Coin ha scelto due stilisti emergenti: conviene a loro, per farsi conoscere, conviene al pubblico, che può acquistare capi di qualità a un prezzo basso, e conviene a Coin, che vuole conquistare nuovi clienti.



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La moda low cost, infine, passa anche per l’intimo. In questo caso ci sono dei marchi italiani che sono riusciti a imporsi a livello internazionale. Calzedonia, azienda produttrice di calze, costumi da bagno e biancheria intima, nasce nel 1987 nel Veronese. In pochi anni, attraverso una rete di negozi in franchising, ha registrato una forte crescita che le ha permesso di lanciare il suo secondo brand, Intimissimi, nato nel 1996, che oggi ha 1100 negozi in tutto il mondo. Terzo marchio di Calzedonia è Tezenis, nato nel 2003, dove i prezzi sono ancora più bassi.
«Un negozio di media grandezza gestito da personale efficiente incassa in media 370mila euro l’anno» (Calzedonia.it).

Per quanto riguarda la cura di sé, gli affari di Kiko Make up Milano, marchio di prodotti di bellezza nato nel 1997, vanno benissimo. Per farsi conoscere anche Kiko non ricorre alla pubblicità sui media tradizionali, si affida al passaparola e a internet (la sua pagina non ufficiale su Facebook ha 29.324). In pochi anni ha aperto 104 negozi in Italia e nel mondo. I prezzi degli articoli sono molto competitivi, quasi mai superano i venti euro, in più ogni mese ci sono sconti su alcune tipologie di prodotti. Sul sito, dove si può comprare online, c’è anche la sezione outlet con tante offerte: matite occhi o labbra: 2,50 euro; schiuma da barba: 3,40; mascara: 3,90 euro ecc. Per comprare online bisogna iscriversi: il primo ordine è gratis, dal successivo la spedizione costa 5,90 euro. Chi spende più di 45 euro non paga le spese.