Marco Cobianchi, Panorama 7/10/2010 (uscita 1/10), 7 ottobre 2010
«DAVO AI PARTITI 4 MILIARDI DI LIRE AL MESE, AVEVO L’ITALIA IN PUGNO. OGGI MI CONSOLO CON LA LIBIA E LE RINNOVABILI»
Il 10 per cento di questa intervista è falso. Solo che non saprei dire quale sia. D’altra parte non si può chiedere a Florio Fiorini di cambiare alla bella età di 70 anni e di dire davvero come tutto è andato in quegli Anni ’80 e ’90 quando era il raider più temuto della borsa italiana. Era “il lavandaio” di Piazza Affari: lui arrivava, comprava aziende, assicurazioni, banche pagandole a volte in contanti, a volte con immobili, a volte con delle promesse, le risistemava (a volte) e poi le rivendeva guadagnandoci. Lo chiamavano le banche che a fine anno dovevano imbellettare i bilanci per vendergli aziende traboccanti di debiti e imprenditori dal sangue troppo caldo per avere successo in borsa. Tra le sue mani sono finite aziende società che oggi dicono poco, ma che allora erano la polpa del mercato: Banca Agricola Milanese, Comitas, Interbanca, Lloyd Nazionale, Firs solo per dire le più importanti. Nel suo campo era un maestro, tutti lo cercavano perché tutti avevano un problema che solo lui era capace di risolvere.
La sua carriera iniziò prestissimo, nel 1967, ad appena 27 anni entrò all’Eni. Vi rimase fino al 1982 quando venne mandato via perchè provò a salvare il banco Ambrosiano con 50 miliardi dell’Eni dopo che la banca di Calvi venne coinvolta nel finanziamento del Conto Protezione di Bettino Craxi. Nel 1982 comprò da una banca svizzera e dal Vaticano la svizzera Sasea con la quale, insieme al socio Giancarlo Parretti, ne fece di tutti i colori fino a quando si mise in testa di scalare la Metro Goldwin Mayer. una delle più grandi major americane. Quello che doveva essere l’affare della vita fu la sua fine: la sua Sasea fallì con un buco di 1000 miliardi di franchi svizzeri. Dopo 3 anni di carcere a Champ Dollon per bancarotta, entrò nell’anonimato: problemi di salute e l’indifferenza di tanti amici che aveva aiutato per 10 anni. Ma lui non ne se ha a male. L’ironia toscana, che lo fa ridere spesso dei suoi guai passati, e la serenità di chi ha fatto pace con il mondo, lo aiutano a non ricordare troppi dettagli dolorosi. Con la polo multicolore, perfetta per una vacanza alla Bahamas, le scarpe di tela e i pantaloni color caki, dopo l’intervista negli uffici romani di un avvocato suo amico, si avvia malinconicamente per i vialoni alberati con la sua inseparabile valigetta. Una volta conteneva incarichi miliardari, progetti di scalate, biglietti aerei intercontinentali, oggi gli appuntamenti per la dialisi.
Dottor Fiorini… Di che vuole parlare? Non so da dove cominciare…
Non so, dica lei, dall’Eni?
Sì. Lei era lì per i socialisti.
All’inizio, poi arrivò il direttore generale Leonardo Di Donna che era più socialista di me e diventai democristiano. Io e Di Donna eravamo i padroni dell’Eni, quindi dell’Italia.
Non iniziamo a esagerare.
Non esagero, eravamo noi i padroni!
Lei venne nominato vicedirettore finanziario nel 1972 a 32 anni e a 32 anni non si è padroni di niente.
A parte il fatto che ero vicedirettore senza che ci fosse un direttore, le spiego come funzionava. Ogni mesi dalle casse dell’Eni uscivano 4 miliardi, 4 miliardi e mezzo di lire per i partiti…
Al mese?
Embè? E che vuole che sia? Io mi occupavo della Dc e Di Donna del Psi. Lui relazionava a Craxi su quello che facevo io e io relazionavo a Piccoli su quello che faceva lui. Andavo da Piccoli tutte le mattine alle 7. Poi però un giorno lo prendo da parte e gli dico: senta Di Donna, qui non può funzionare, qui ci beccano a tutti e due.
E allora avete smesso.
Ma che scherza? Abbiamo aumentato. Gli dissi: senta, facciamo così: ogni mese prendiamo 5 miliardi e ne diamo: uno alla Dc, uno al Psi, 250 milioni ai repubblicani e così via. E lui mi chiese: e i comunisti? Ci penso io, gli dissi. Vendevo petrolio con lo sconto alle cooperative rosse francesi e poi con quello che risparmiavano… poi si sarebbero regolati tra di loro. Se Di Donna non si fosse messo nei casini con ‘sta c… di P2, se solo non avesse fatto quella c… del Conto Protezione… 7 milioni a Craxi… che poi l’hanno pure beccato, a noi chi ci fermava più? Ma chi ci toccava a noi due?
E come faceva a fare i fondi neri?
Facilissimo. Alle otto del mattino tutte le società dell’Eni mi dovevano mandare un fax nel quale mi dicevano che cosa volevano comprare, dollari, sterline, marchi eccetera, per fare i loro affari, pagare petrolio, vendere materiale, eccetera. Io alle 9 chiamavo la Banca d’Italia e chiedevo l’autorizzazione. Alle 10 arrivava il sì o il no: compra questo, non comprare quello… mi dicevano, e io operavo. Poi, se sul mercato dei cambi riuscivamo a guadagnarci, gli utili finivano in una società di Zurigo e da lì… Avevo creato un meccanismo perfetto.
Ma lei pensa che Piccoli…
Piccoli era un gran signore: mai preso un soldo per sé, ne sono sicuro, però mi fece uno sgarbo.
Quale?
Un giorno mi chiama Angelo Rizzoli e mi dice: allora, abbiamo deciso con Piccoli che lei viene da noi al Corriere. E io gli ho risposto: ma che c…! Ma allora siete matti davvero!
Rifiutò?
Certo!
E perché?
Ma perché l’era un casino! Guardi, io ho imparato una cosa nella vita: chi tocca il Corriere della Sera muore. E l’ho detto a Piccoli: guardi che voi se volete il Corriere della Sera, voi siete matti.
All’Eni nacque il suo rapporto con i libici.
Sì, nel 1969 Gheddafi, due anni dopo che ero entrato all’Eni, nazionalizzò i beni degli italiani e si prese il 50% dei nostri pozzi. Noi trattammo per ottenere che ci lasciassero il 50%. Fu una trattativa dura, ma allora c’erano persone serie, preparate, gente brava in Libia.
Lei è anche rimasto amico di Gheddafi.
Io sono stato l’ultimo a vederlo prima che lo bombardassero nell’86.
Ma veramente si sospettava che fosse stato Craxi ad avvertire Gheddafi.
Senta: pochi giorni prima che gli americani bombardassero Tripoli mi chiama William Wilson, ambasciatore americano alla Santa Sede, che voleva dare un ultimo avvertimento. Allora io chiamo Tanzi, saliamo sull’aereo della Parmalat io, Wilson e un collaboratore di Tanzi che si chiama Ettore Giugovaz. Siamo andati a Tripoli ad avvertirlo che da lì a qualche giorno l’avrebbero bombardato.
E cosa ci faceva lei su quell’aereo?
E chi glielo prendeva l’appuntamento con Gheddafi?
Lei mi sta dicendo che gli americani fecero in modo che Gheddafi si salvasse dalle loro stesse bombe?
Ci fu anche un’inchiesta del Senato americano su questo.
E oggi?
I figli di Gheddafi hanno ridotto di molto il prestigio del Paese. Il figlio Moutassim ha fatto casini con 250 milioni di dollari che adesso sono in una banca di Cipro. Saif pare abbia a che fare con le casse della Lia.
Questo mi interessa. Il Lybian Investment Authority è il fondo sovrano libico che sta crescendo nel capitale dell’Unicredit. Adesso ha più del 2 per cento che, sommato alla quota della Banca centrale libica porta la partecipazione di Tripoli a oltre il 7 per cento. Secondo lei hanno ragione i leghisti a preoccuparsi per una possibile scalata libica a Unicredit?
Ma va là! La questione è molto semplice: i comitati popolari hanno approvato l’acquisto del 10% dell’Eni e del 10% dell’Unicredit. Lo hanno deciso nel 2008 su proposta di El Baghdadi Ali El Mahmudi, segretario generale dei comitati, cioè, primo ministro. E lei sa chi è El Baghdadi Ali El Mahmudi?
Il primo ministro, l’ha detto lei.
E’ il ginecologo della moglie di Gheddafi, ahahah…
Nelle deliberazioni del 2008 erano previsti investimenti anche nelle Generali?
Sì, ma poi sull’Eni si sono bloccati per non provocare conflitti con gli americani, e Geronzi è riuscito finora a difendersi, l’Unicredit no.
E quindi?
E quindi niente, arriveranno al 10% e si fermeranno lì, magari faranno entrare un altro consigliere d’amministrazione oltre a Bengdara che è il vicepresidente e poi basta. E comunque c’ha i suoi vantaggi anche l’Unicredit. Oggi le lettere di credito della Libia vengono scontate in Italia solo da tre banche: l’Ubae, Arab Bank Corporation e l’Unicredit. Eppoi la Libia è un bel posto: non c’è nemmeno l’accordo per l’asssitenza giudiziaria, eheheh. Se dovessi fare una società offshore la farei lì…
Ma come funzionano i comitati popolari?
Periodicamente si riuniscono e per acclamazione approvano le proposte del primo ministro. Io, ad esempio, quando sono uscito dall’Eni…
Non per essere pignoli, ma lei dall’Eni è stato licenziato…
Di Donna… vabbè, insomma, nel 1982 ho comprato la Sasea in Svizzera e ho comprato la Tamoil dal precedente proprietario, Tamraz. Volevo fare entrare i libici al 70%. Solo che questa decisione doveva essere approvata dai comitati popolari e io, qualche giorno prima, ho comprato 300 orologi d’oro a Ginevra e li ho portati in Libia. Ha capito? ahahah…
Trecento orologi d’oro?
Sì… ihihihi… 300 orologi d’oro… ahahah… con i soldi della Sasea!
Poi si è messo con Giancarlo Parretti a scalare la Mgm.
Proprio lui. Ma lei sa come nasce Parretti?
So che era un cameriere di Orvieto.
Glielo racconto io. Nel 1979 mi chiama Gianni De Michelis e mi dice che dovevo occuparmi di Parretti che era stato arrestato a Siracusa. Era successo che a De Michelis avevano portato un libretto al portatore con 3 miliardi dalla Sicilia.
Avevano portato, chi?
E che ne so io? Mica mi faccio gli affari degli altri. Comunque lui dà questo libretto a Parretti che all’epoca era amministratore de “i Diari”, erano dei giornali che faceva il fratello di De Michelis, Cesare. Andò all’Istituto Bancario Italiano che gli anticipò 150 milioni e quando la banca li mandò all’incasso in Sicilia, si scoprì che era un libretto falsificato. Parretti venne arrestato e quando i magistrati lo interrogarono per chiedergli chi gli aveva dato il libretto rispose: “Non me lo ricordo, l’avrò trovato per strada”. Per dire… il tipo…hahaha, ha capito chi è Parretti?
Lo tirò fuori lei dalla galera?
Sì. Pagai i 150 milioni all’Ibi… con i soldi dell’Eni, hahaha
Mi dica dell’Mgm.
La verità è molto semplice. E’ che che noi avevamo 200 milioni di dollari e che facevamo questa cosa per la Warner, che ci prestava 800 milioni di dollari su 1,2 miliardi necessari, sennò non saremmo mai partiti. Solo che era illegale perché era contraria alle regole Antitrust americane. A un certo punto la Time compra la Warner e decide di non andare più avanti con l’operazione. Noi avevamo già dato 200 milioni di anticipo a Kirk Kerkorian, proprietario della Mgm, ma senza i soldi della Warner non potevamo proseguire. Torno in Italia e mi vedo un corsivo di Craxi sull’”Avanti” nel quale ci incitava ad andare avanti e anche De Michelis mi chiama e mi dice: dovete andare avanti. Parretti mi porta da Berlusconi. Insomma: alla fine i soldi ci sono arrivati dal Crédit Lyonnais, banca socialista presieduta da Bebear che nel 1991 mi dice che voleva escutere il pegno che gli avevo dato. E io gli dico: “Guarda che fallisco”. L’errore è stato di fidarmi del consiglio d’amministrazione della Sasea che mi disse di non mollare e di andare avanti.
E invece la Sasea saltò nel 1992: il più grande crack nella storia Svizzera.
Io sono quello che ha fatto più galera di tutti: 3 anni, uno ha fatto 3 mesi, a un altro 6 con la condizionale, a un altro… tutte teste di c…
Ma lei come definirebbe il suo mestiere quando fondò la Sasea?
Ero un pirata. Quando qualcuno sbagliava qualche cosa veniva da me e io gliela sistemavo. Per dire… ha presente la Banca Agricola Milanese?
Non c’è più.
Ma allora la Cir di Carlo De Benedetti aveva il 6% e il maggiore azionista era Piero Schlesinger, presidente della banca Popolare di Milano che non voleva mollarla. E allora, nel 1988, De Benedetti vendette a me la partecipazione e io la rivendetti a Schlesinger, che era così tignoso che neanche lo riceveva a De Benedetti.
E quanto ci guadagnò?
Mah mi sembra di aver comprato a 11 mila lire e di averle vendute a 21 mila… ahahah però misi tutto a bilancio, eh? ihihih Tanto per dire, c’aveva anche la Latina Assicurazioni, poi c’era l’Ausonia, anche lì si erano impantanati. Io con ‘ste assicurazioni avrò guadagnato 50 milioni di dollari.
Però divenne famoso per l’affare Interbanca?
Eh come no? Quello me lo ricordo bene. Succede che De Benedetti compra un po’ di Interbanca nella quale il 51 per cento era del conte Auletta Armenise della Banca Nazionale dell’Agricoltura, protettissimo. Ah, ma gliel’ho detto che io all’Eni assunsi suo figlio?
Il figlio di chi?
Del conte Auletta Armenise! Assunsi lui, Jody Vender e il figlio adottivo di Togliatti.
Ah però! Immagino con un concorso.
Eh, sì, come no!
Si era sempre sospettato che dietro di lei nella vicenda Interbanca ci fosse De Benedetti.
Vabbè, vabbè. Insomma: De Benedetti si impalla ancora. Io compro il 40% e la stampa mi esalta: “L’eroe Fiorini”; “Le idee innovative di Fiorini contro quelle del vecchio Conte”. Un tripudio. Poi ho sistemato quel 40% da Francesco Micheli che non mi ricordo nemmeno come mi abbia pagato. Insomma tutto così…
Tutto così, cosa?
De Benedetti ha sempre provato a fare scalate e poi rimaneva inchiodato: l’Agricola Mantovana, la Sgb belga… Poi magari ci guadagnava perché comprava a poco e rivendeva a molto, ma come scalatore…eheheh
Lei ride, ma alla finire a gambe all’aria è stato lei. Se ho contato bene sono 8 le sue società saltate. Le risulta?
Vediamo: Sasea, Sasea Italia, Daf e le sue controllate quella di Genova, la Firs di Roma e il Lloyd Adriatico, Comitas… queste sono le più importanti, lasciamo stare le altre piccole, poi c’era qualche immobiliare… ma chi si ricorda?
E il crack Parmalat?
No, io in quello non c’entro nulla, ho solo venduto a Tanzi la finanziaria Centronord. Lui gli cambiò nome in Parmalat e vi mise dentro la vecchia Parmalat così riuscì a quotarla in borsa. Poi gli ho comprato Odeon, per togliergli dei debiti. Ma io con Parmalat non c’entro. Loro hanno falsificato i bilanci in un modo… nemmeno io non ci sarei mai arrivato. Roba davvero da menti contadine.
Che differenza c’è tra i crack degli Anni 2000 con i suoi?
Io ero un pirata.
Ma ha fatto fallire così tante aziende…
Sì, però io ho sempre detto: le azioni della Sasea non sono indicate per vedove e per orfani. L’ho sempre detto… Infatti mi hanno condannato per bancarotta semplice, non fraudolenta.
E c’è qualche pirata oggi in giro?
Non c’è più spazio… non ci sono più aziende assicurative, non ci sono più le banche…
E adesso che cosa fa? Lei controlla un paio di società…
Con la Monteco faccio consulenze e con la Bossonatre faccio energie rinnovabili.
Scusi, non s’offenda, ma con il suo curriculum chi è che le viene a chiedere una consulenza?
Io ho deciso che lavoro solo per gli amici. Un po’ per aziende che vogliono entrare in Libia, e un po’ con gli amici ai quali suggerisco operazioni immobiliari, una sola all’anno. Avevo un contratto con la Tamoil, ma l’ho disdetto.
Nostalgia di quei tempi?
Mah, che vuole che le dica, l’importante è divertirsi.