Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi, il manifesto 1/10/2010, 1 ottobre 2010
L’ULTIMO BANCOMAT DEGLI ENTI LOCALI
Ogni anno elargiscono una decina di milioni di euro: sono le Fondazioni bancarie che a Nord Est sostengono sanità, cultura, assistenza e ricerca. Alle spalle, le banche che valgono oltre cinque miliardi dal punto di vista patrimoniale, ma ormai scollegate dal territorio. «Casseforti» del Veneto che cerca una nuova metamorfosi, oltre la crisi economica ma anche dentro la trasformazione sociale sospesa fra federalismo e sussidiarietà.
Certo, Verona è al centro dei riflettori per la vicenda Unicredit. Tuttavia, la vera partita si disputa nella gestione di sportelli e credito, nella cassa continua dei contributi o nel project financing delle grandi e piccole opere (dalle autostrade ai parcheggi, dagli ospedali agli atenei). Del resto, Padova ha smesso da lustri di funzionare come capitale finanziaria del Nord Est: Carisparmio è controllata ormai da Intesa-San Paolo; l’Antoniana è terra di Siena dopo le parentesi di Lodi e dell’Olanda. Semmai è Vicenza che può diventare il cuore della borsa veneta. Di sicuro, la Lega Nord del governatore Luca Zaia non può contare su Cassamarca dove continua a imperare con piglio democristiano Dino De Poli, 81 anni.
Dunque, le Fondazioni sono l’ultimo «bancomat» che ancora funziona davvero a livello locale. Un prelievo per ogni campanile, lo sponsor sicuro di ogni iniziativa, la supplenza istituzionale quando si tratta di soldi. Comuni e Provincie pendono dai cordoni della borsa delle Fondazioni; la stessa idea di un Politecnico universitario veneto può decollare solo sulle ali del vero potere economico; perfino un nuovo auditorium, il Grande raccordo o i progetti delle nanotecnologie vanno immaginati dopo aver incassato il placet dei Cda delle Fondazioni.
È il Veneto post-industriale, sprovvisto di certezze in cassaforte. Si certifica così il Nordest «appeso» al terzo settore privatizzato in funzione del massimo profit dietro la facciata della Civitas che tanto piaceva a Romano Prodi. La macroeconomia si avvicina pericolosamente all’occultamento della ricchezza, frutto di tasse evase e logistica del cannibalismo. Tutti si concentrano su poltrone, strategie, geopolitica del caso Unicredit. Peccato che i fondi sovrani del Veneto siano altrettanto foresti rispetto al libero mercato locale.
L’ultima illusione è tramontata nel 2007. Era la fusione di banche sull’asse Vicenza-Treviso, cioè la massima concentrazione di ricchezza nelle province più votate al Carroccio. Un’idea efficace, sulla carta. Saldare la tradizionale finanza bianca con il futuro di Marca. Banca Popolare Vicenza (2,72 miliardi di patrimonio) e Veneto Banca (2,66 miliardi) contavano di diventare insieme la nuova «cassaforte» del Veneto. La superbanca avrebbe dovuto mettere d’accordo Gianni Zonin e Flavio Trinca con Vincenzo Consoli - l’uomo del dopo Fiorani a Lodi - dietro la scrivania di amministratore delegato. È saltato tutto sulla spartizione delle poltrone del consiglio di amministrazione: Vicenza ne pretendeva nove, Treviso non si accontentava di sette.
Così si torna a dipendere dalle Fondazioni bancarie. Cariverona (che in portafoglio ha il 4,98% delle azioni Unicredit) vanta un patrimonio netto di 4,2 miliardi di euro. Ha chiuso il 2009 con un avanzo di esercizio di 187,4 milioni (erano 103 nel 2008). Nell’ultimo bilancio 79 milioni sono stati iscritti alle voci sanità, istruzione, assistenza agli anziani, volontariato, ricerca e ambiente. Nell’arco di un lustro, la Fondazione veronese ha erogato ben 637 milioni di contributi al pubblico. E quest’anno ha previsto altri 90 milioni a beneficio del territorio. Da 17 anni il presidente della Fondazione è Paolo Biasi, classe 1938, già consigliere di Allianz Spa e della Fondazione Cini, dal 2009 risulta iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Teramo che ipotizza la bancarotta preferenziale dietro al fallimento di due aziende di famiglia. E nella Verona del sindaco Flavio Tosi (perfetta cerniera con la Lombardia di Formigoni) si profila il vero, grande business dell’urbanistica che declina lo sviluppo del Quadrante Europa con le opere pubbliche da maxi-appalti.
Paradossalmente, arranca la banca del «cuore del cuore» di Legaland. Cassamarca nell’ultimo bilancio certificato aveva in corpo debiti per 75 milioni. Conti in rosso esponenziali, visto che nel 2007 assommavano a 38 milioni e l’anno successivo erano lievitati fino a 60. A proposito di Unicredit, la garanzia della banca di Treviso sono state proprio 300 milioni di azioni. Così la partecipazione azionaria è scemata fino allo 0,8% dei titoli dell’istituto di credito con sede a Milano. Non basta, perché De Poli si era ’inventato’ l’Università di Treviso (1.700 iscritti con una quarantina di docenti) accanto ai grandi eventi culturali come le mostre-processioni. Peccato che non abbia mai saldato i conti con l’Ateneo di Padova: 8 milioni di arretrati. A giugno, è stata siglata una nuova convenzione tra il Bo e Cassamarca: saldo dei debiti e mantenimento per 15 anni dei professori e ricercatori che sdoppieranno la Facoltà di Giurisprudenza nel palazzo della Dogana di Treviso.
L’altro «grande vecchio» è Antonio Finotti, ultimo erede dello spirito doroteo. Al vertice di Fondazione Cariparo funziona più che bene da interlocutore di Giustina Destro, sindaco berlusconiano, come di Flavio Zanonato. Il presidente Finotti decide ormai cosa si costruisce della città futura. A Padova amministra 1,7 miliardi di beni bancari. Inoltre il portafogli vale, da solo, più di 2 miliardi. Perfino nell’epoca delle vacche magre, Fondazione Cariparo esibisce nel 2009 un avanzo di oltre 60 milioni pari al 6% in più rispetto all’anno precedente. Nelle province di Padova (e Rovigo), sventaglia sostegni economici a tutto campo. Soldi indispensabili alla ricerca (quasi 16 milioni in un anno) e all’istruzione (altri 12,4), ma soprattutto a puntellare i servizi socio-sanitari con 22,5 milioni. Nella cassaforte della sede di piazza duomo, la Fondazione Cariparo conserva il 4,18% delle azioni Intesa-San Paolo. Quanto basta per spedire nella stanza dei bottoni Mario Bertolissi, professore universitario che ha lasciato il posto di vice presidente a Marina Bastianello dell’Arci padovana.
Resiste ormai soltanto la Popolare Vicenza, fondata nel 1866. La banca cattolica delle origini non ha mai tradito la vocazione di ’servizio’ alla provincia d’oro: quasi 65 mila imprese iscritte alla Camera di commercio che fatturavano fino a un po’ di tempo fa più di 40 miliardi di euro all’anno. Zonin è il riferimento obbligato anche per la locale Confindustria, una delle prime cinque d’Italia. Popolare Vicenza conta 638 sportelli e oltre 5 mila dipendenti. È già sbarcata in Sicilia fin dal 2002 con l’acquisizione delle filiali Antonveneta, ma si è espansa anche fra Palermo e Trapani e in Calabria.