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 2010  ottobre 02 Sabato calendario

Il feretro entra nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Portici poco prima delle 16, accompagnato da un lungo battimani

Il feretro entra nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Portici poco prima delle 16, accompagnato da un lungo battimani. Ci sono centinaia di persone lì fuori arrivate anche per mandare solo un bacio a Teresa Buonocore, ammazzata dodici giorni fa a colpi di pistola mentre si recava al lavoro. Per tutti è mamma coraggio, perché non esitò a costituirsi parte civile e a testimoniare nel processo a Enrico Perillo, la persona poi condannata in primo grado per aver abusato di due bambine. La storia di mamma coraggio inizia proprio allora, quando decise di sedersi di fronte al giudice della terza sezione penale del tribunale di Napoli. Era l’otto marzo scorso, il giorno della festa della donna. Lei, Enrico Perillo lo conosceva bene. Fin da ragazzo, perché entrambi vivevano nello stesso palazzo. Non lavorava, o almeno era questa l’impressione che Teresa riferì in aula. Un giorno gli chiese di cosa si occupasse e lui rispose «Faccio il perito balistico». Una professione o una passione che gli è costata due volte l’arresto: la prima nel 2008 quando la polizia oltre a un arsenale in casa scoprì che Enrico preferiva farsele da sole le pallottole, comprando polvere da sparo addirittura a San Marino, la seconda proprio ieri quando gli è stato notificato in carcere un provvedimento di custodia cautelare dove lo si accusa di aver maneggiato alcune delle armi ritrovate il giorno dopo l’assassinio di Teresa in un box affittato dalla sua famiglia a Napoli. I contatti continuarono anche dopo il matrimonio di Enrico con un medico in servizio in un ospedale pubblico del Napoletano. Rapporti buoni, visto che le figlie di entrambi erano ottime amiche e passavano intere giornate insieme. Tanto buoni che in un’occasione chiese e ottenne di fissare la residenza della bambina proprio dai Perillo per permettere alle ragazze di frequentare la stessa scuola. Un fatto però che durò solo qualche mese. In fin dei conti quell’attaccamento ai Perillo la infastidiva. «Non era un fatto normale che una bambina dovesse uscire con loro, quindi contrastavo molto», disse durante la sua testimonianza. Tanto da impedire che i Perillo la portassero in vacanza con loro in Croazia. Fu proprio Enrico a chiederle il permesso. «Risposi: "No, assolutamente no - spiegò Teresa in aula - Anzi lui mi sembrò anche abbastanza risentito di questa cosa. Dissi: non te la prendere, è un fatto normale. Una cosa è che ve ne andate al mare, ritornate, ma il fatto di stare fuori un mese è proprio fuori discussione». L’insistenza di Enrico mise sul chi va là Teresa, che raccontò di altre telefonate con lo stesso tono piccato: «Poi lui mi richiamò ancora e comunque era risentito. Ecco, perché. Perché praticamente la bambina a casa loro non l’ho fatta più andare», spiegò. Ma quelle telefonate non terminarono, anzi. Ricevette in quel periodo, disse durante la sua testimonianza, telefonate «molto risentite» da parte di Enrico Perillo che aveva un tono arrabbiato. «Mi accusava quasi - raccontò - di essere una ingrata. Disse: che modi sono?». Era il settembre del 2007: due mesi dopo ignoti incendiarono la porta dell’appartamento di Teresa. I vicini di casa fornirono una descrizione del piromane, ma la polizia non fu mai in grado di identificarlo con certezza. Nel corso del processo emerse che questa descrizione aveva portato gli inquirenti ad Alberto Amendola, un giovane di professione tatuatore. Nessun riscontro. Appare però singolare che solo un mese dopo la testimonianza di Teresa, il 14 aprile scorso, proprio Alberto Amendola venne chiamato in qualità di teste, e appare tragicamente singolare che proprio Alberto Amendola sia uno dei due giovani arrestati con l’accusa di aver ucciso Teresa Buonocore il 20 settembre scorso. I sospetti di mamma coraggio diventarono una tragica realtà poco dopo, quando fu chiamata in consultorio: la polizia aveva avuto la segnalazione, da parte di una fonte confidenziale, che in casa di Enrico Perillo si consumassero abusi sessuali. Teresa quando vide sotto il braccio di un ispettore il fascicolo con su stampato il nome di Enrico Perillo si sentì sprofondare. «Dissi, scusate, questa persona che c’entra con questa storia? - ricordò nella sua deposizione - Sono rimasta letteralmente fuori dai panni». In base a questo racconto e ad altre testimonianze il 9 giugno 2010 Enrico Perillo fu condannato a quindici anni di reclusione e al pagamento di una provvisionale di 50 mila euro. Questa sentenza è pronta per essere appellata dalla difesa del condannato, che già in primo grado aveva invocato la sua assoluzione perché il fatto non sarebbe sussistito. «Grazie Teresa perché il tuo coraggio ha reso visibile il male. Coraggio che dovrà contagiare tutte le madri, che si faranno forza col tuo esempio». Sono le parole con cui don Giuseppe De Vincentiis ha benedetto la bara davanti al fiume di persone che ieri ha sfilato con una fiaccola in mano per le strade di Portici.