Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 01 Venerdì calendario

IL PADRE DELL’ITALIA UNITA? ALTRO CHE CAVOUR, È DANTE

Risorgimentali e an­tirisorgimentali, mettetevi l’anima in pace. L’Italia non l’ha fatta Gari­baldi, e nemmeno Cavour o Vittorio Emanuele. L’ha fat­ta la geografia, l’ha fatta la storia, l’ha fatta la letteratu­ra. Ma se cercate il fondato­re, se avete bisogno di un pa­dre, un Enea per l’Italia, allo­ra quel Fondatore non fu un condottiero, ma un poeta. L’Italia fu fatta da Dante Ali­ghieri. Fu lui a dare dignità al terreno primario e comune di una nazione, la lingua. Fu lui a riannodare l’Impero e il Papato, cioè la civiltà cristia­na e la civiltà romana, ricono­scendoli come i genitori del­­l’Italia. Ebbero altri figli, cer­tamente, ma la figlia che ere­ditò la casa paterna e mater­na fu l’Italia.
Certo, Dante vaticinava una monarchia universale, ma fu il primo a considerare il fulcro di una rinascenza in Roma, nell’Italia cattolica ma non clericale, dove l’Im­pero ha dignità pari a quella del Papato. E fu ancora Dan­te a creare un mito di fonda­zione e una narrazione su cui costruire l’Italia, e a cer­care un Veltro che la unisse da «feltro a feltro», come egli scrisse, «di quell’umile Italia fia salute»; alimentando così un’aspettativa che altri lette­rati - da Petrarca a Machia­velli, da Alfieri a Foscolo e Le­opardi - poi coltivarono. La nostra è una nazione cultura­le, nata non con la forza delle armi, ma con la forza della poesia; per questo l’Italia è uno Stato fragile, ma un’identità forte. Tuttora, al di là di tutto, la dignità uni­versale dell’Italia non è di na­tura commerciale o indu­striale, militare o tecnologi­ca, ma culturale: si studia l’Italiano per ragioni cultura­li, si viene in Italia per ragio­ni culturali, si considera l’Ita­lia per ragioni culturali.
L’espressione stessa usata per indicare il processo uni­tario del nostro Paese, Risor­gimento, non ha una genesi politica o militare, ma reli­giosa e letteraria, allude alla Resurrezione e insieme ad una letteratura, dal gesuita Saverio Bettarelli che la usò per primo a Gioberti, da Al­fieri a Leopardi con la poesia Il risorgimento , in cui l’espressione ha un significa­to esistenziale e religioso. So­lo dopo arriverà il Risorgi­mento politico di Balbo e Ca­vour. Da dove viene fuori quest’apologia di Dante co­me profeta dell’Italia? Sì, da un intreccio di ricorrenze e polemiche,trai 150 anni del­­l’unità d’Italia e i sette secoli del De Monarchia di Dante, di cui peraltro è indefinita l’effettiva data.
Ma viene fuori anche dal­l’ultimo filosofo italiano che pensò l’Italia dentro la sua tradizione civile e religiosa, e la pensò a partire da Dante. Parlo di Augusto del Noce, di cui mi sono più volte occupa­to, anche sul Giornale . L’al­tro giorno si è svolto a Pisto­ia, sua città nativa, un conve­gno a lui dedicato in occasio­ne del centenario della nasci­ta, ed io ho parlato di lui co­me del filosofo del Risorgi­mento, ma di un Risorgimen­to dantesco, oltre che giober­tiano. Per fondare la sua idea dantesca d’Italia, Del Noce si rifece a due autori: Giaco­mo Noventa e Giovanni Gen­tile. Il primo si oppose alla li­nea idealistica-hegeliana di Spaventa, De Sanctis e Cro­ce che leggeva l’unità d’Ita­lia attraverso la nascita dello Stato unitario. Una lettura strettamente politica del Ri­sorgimento, che rinveniva al più in Machiavelli il suo pre­decessore, ma in quanto pen­satore e segretario di Stato. Secondo Noventa, invece, fu Dante a fondare l’idea del­­l’Italia sulla tradizione roma­na e cattolica, mediterranea e poetica. Ma fu soprattutto Gentile, in uno scritto del 1918, a vedere in Dante il pro­feta dell’Italia risorgimenta­le e moderna. Egli riconobbe in Dante non solo il sommo poeta, ma anche il filosofo. La sua divergenza da Croce fu netta. Di solito la si ricon­duce sul piano storico al dis­sidio tra fascismo e antifasci­smo e sul piano filosofico al divario tra il razionalismo li­berale di Croce e l’irraziona­lismo «mistico» di Gentile.
Ma sfugge una differenza essenziale: Croce, che pure non era accademico, tenne fuori dalla filosofia Marx da un verso e Dante e Leopardi dall’altro; ritenendo il primo uno scrittore politico ed un critico dell’economia e i se­condi due eminenti poeti, ma trascurabili pensatori. Gentile che pure era accade­mico, al contrario riconobbe a Marx da un verso, ma an­che a Dante e Leopardi, di­gnità e potenza di filosofi e di profeti. A Croce sfuggiva da un verso la ragione profonda dell’internazionalismo marxista e del materialismo storico e dialettico. E dall’al­tro la matrice poetica del pensiero italiano che passa attraverso grandi poeti-filo­sofi (anche Petrarca, per al­tri versi) e grandi pensatori che riconobbero dignità al pensiero poetante, come Vi­co. Il Vico di Croce è tutto nel­la storia ed è gravido dell’Ot­tocento (lui lo definì infatti secolo XIX in germe); il Vico di Gentile è tutto nel pensie­ro ed è gravido dell’Italia nuova.
A questa tradizione si rifà Augusto del Noce. Lui, catto­lico, si riconobbe nella linea di Gentile discesa da Dante. Una linea non laica ma ghi­bellina (anche se Dante fu guelfo bianco, benché defini­to da Foscolo «ghibellin fug­giasco »); ed una linea che senza cedere al neopaganesi­mo e all’idolatria dello Stato (che fu di Gentile fascista), ri­conosceva una connotazio­ne religiosa al processo uni­tario. Il Risorgimento è la no­stra Riforma morale e civile, diceva Del Noce, richiaman­do Noventa e Gentile. L’idea di Riforma in Del Noce si tra­sferisce dal piano religioso­ecclesiale del luteranesimo a quello storico-politico del Risorgimento. Un pensiero originale che riesce a trovare un punto d’intesa fra Tradi­zione e Risorgimento e che concepisce il Risorgimento come categoria distinta tan­to da «rivoluzione» che da «reazione». Del Noce vedeva la ripresa del Risorgimento come compito dei nostri an­ni e immaginava, quando an­cora non si era formata l’Unione Europea,una risco­perta dell’Italia «dopo l’Eu­ropa », cioè non regredendo all’epoca delle nazioni e dei nazionalismi, ma proceden­do oltre, nell’epoca degli in­contri e degli scontri di civil­tà. Un pensiero italiano e ri­sorgimentale che ancora non trova destinatari.