Alessandro Alviani - Elena Lisa, La Stampa 1/10/2010, 1 ottobre 2010
ALESSANDRO ALVIANI
Debiti con l’estero (Trattato di Londra sui debiti)», si legge al punto 2.1.1.6 della Finanziaria tedesca 2010. Importo: 69.950.000. All’apparenza una voce come tante. In realtà quei 69 milioni e 950 mila euro chiudono un’epoca: domenica, quando verranno versati, la Prima guerra mondiale potrà dirsi finalmente conclusa.
Sarà infatti anche vero che l’ultima battaglia risale a oltre 90 anni fa e che l’ultimo veterano tedesco, il giurista di Lipsia Kästner, è passato a miglior vita nel 2008.
Eppure per la Germania quel conflitto non è mai finito: mentre assisteva alla nascita e al tragico declino della Repubblica di Weimar, mentre appoggiava la folla ascesa del nazismo e abbracciava l’ideologia razzista del suo Führer, mentre lanciava una nuova, devastante guerra, si spaccava in due e infine si ricongiungeva, la Germania si portava dietro un pesante fardello: le riparazioni della Prima guerra mondiale.
Un conto salatissimo, che Berlino salderà finalmente il 3 ottobre. Una data scelta non a caso: quel giorno, infatti, nelle stesse ore in cui festeggerà i 20 anni della sua riunificazione, la Germania pagherà l’ultima tranche dei debiti di guerra, chiudendo così una vicenda che si trascina dal 1919. Fu in quell’anno che a Versailles la Germania fu costretta a riconoscersi unica responsabile del Primo conflitto mondiale e si impegnò a versare riparazioni salatissime. L’importo verrà fissato solo due anni dopo: 132 miliardi di marchi oro, una cifra già enorme per la giovane Repubblica di Weimar, diventata impagabile a seguito dell’inflazione galoppante: nel 1914 il dollaro costava poco più di quattro marchi; nel novembre del 1923 era arrivato a toccare quota 4.200.000.000.000 marchi.
Fu così che si rese necessaria una prima correzione di rotta: nel 1924 il «piano Dawes» concedeva alla Germania un’obbligazione da 800 milioni di marchi oro con un interesse del 7 per cento. La seconda correzione arrivò cinque anni dopo con il «piano Young», che consentiva alla Germania di «spalmare» il pagamento dei debiti fino al 1988 e lanciava un’altra obbligazione da 300 milioni di marchi oro, stavolta a un tasso più conveniente (5,5 per cento).
Ad assicurarsi le obbligazioni furono soprattutto dei privati, per i quali l’investimento si rivelerà una catastrofe: la Germania, infatti, non ha mai saldato quel debito. Il primo stop arrivò poco dopo: per l’ideologia nazista le riparazioni di Versailles rappresentavano una vergogna da cancellare a tutti i costi. Fu così che, dopo aver tentato invano un «referendum contro il piano Young» già nel 1929, quattro anni dopo, ormai al potere, Hitler decise semplicemente di bloccare i pagamenti.
Bisognerà aspettare fino al 1945, perché la questione delle riparazioni torni all’ordine del giorno. Dopo la guerra a farsi carico dei debiti fu la sola Germania occidentale: Bonn decise, infatti, di ricominciare a saldare il conto mai pagato, anche se gli Alleati preferirono sforbiciarlo non poco, per non strozzare la neonata Repubblica federale e non ripetere così il tragico errore compiuto dal piano Dawes. Fu così che alla conferenza sul debito di Londra del 1953 il capo-delegazione tedesco Hermann Josef Abs (che in seguito guiderà per un decennio la Deutsche Bank) riuscì a convincere le controparti ad abbassare le riparazioni a 30 miliardi di marchi.
A restare scoperte furono, però, due obbligazioni siglate tra il 1945 e il 1952 e il cui pagamento venne semplicemente rinviato al periodo successivo alla riunificazione e scaglionato su un periodo di vent’anni. A conti fatti, l’ennesimo stop: l’ipotesi di una Germania riunita appariva, infatti, allora lontanissima. Con l’ingresso dei territori dell’ex Repubblica democratica nella Repubblica federale, invece, sono rispuntate le clausole dimenticate. E per la Germania, nata praticamente già appesantita dai debiti passati, si è riaperto il conto.
Nel 1990 la Repubblica federale doveva ai possessori delle obbligazioni del piano Dawes e Young qualcosa come 125 milioni di euro. Interessi che Bonn prima, Berlino poi hanno segnato puntualmente ogni anno nella propria legge Finanziaria. E che ora, oltre novant’anni dopo la firma del Trattato di Versailles, la Germania è pronta a pagare, chiudendo letteralmente il conto con la Prima guerra mondiale e i suoi incubi.
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ELENA LISA
ELENA LISA
Lucio Villari, storico di fama mondiale, alla notizia del pagamento dell’ultima tranche di debito della Germania ai Paesi alleati dopo la Grande Guerra, stenta a credere. Quasi trasale. E infatti domanda più volte: «Davvero? Lo dice lo Spiegel sul sito Internet?». Poi subito spiega. «Mi stupisce: per quanto simbolico è un risarcimento anacronistico oltre che la prova che la prima guerra mondiale, più di qualsiasi altro conflitto, è ancora capace di produrre danni».
Danni al governo tedesco, costretto a pagare gli ultimi 70 milioni di euro?
«Non penso al denaro, ma al gesto. Il risarcimento economico, già con la Seconda guerra mondiale, era una soluzione non più consentita in nome del principio di cooperazione tra i popoli».
Chi dichiara guerra, perciò, non è costretto a compensare col denaro le morti e le distruzioni che provoca?
«Fortunatamente no. Tra i valori che regolano il post-guerra non c’è più quello di depredare, di schiacciare i vinti, ma di aiutare. Come hanno tentato di fare, senza riuscirci, gli Usa con l’Iraq dopo l’invasione di Saddam Hussein del Kuwait nell’agosto del 1990».
Professore Villari, perché sostiene «fortunatamente»?
«Perché un risarcimento in “soldoni” non è mai giusto. E nel caso specifico, poi, ha costituito l’alibi di Hitler per scatenare una guerra al mondo. Gran parte del successo della sua campagna elettorale, non dimentichiamolo il "cancelliere del Reich" salì al potere dopo un’elezione democratica nel 1933, fu dovuta proprio a quell’enorme debito, in marchi oro, da pagare a Francia e Inghilterra: la Germania era al collasso e Hitler arringava la folla sostenendo che gli Alleati stessero affamando il popolo».
Perché una riparazione economica non può essere equa?
«Rispondo con una domanda: si può stabilire, dopo un conflitto, chi ha provocato le perdite e a chi? La logica del “chi aggredisce paga” assomiglia a una vendetta. In questo caso, ad esempio, a pagare non fu chiamata la Germania di Guglielmo II che scatenò la guerra, ma la Repubblica di Weimar. Quel risarcimento è stato una cecità di Francia e Inghilterra».
Quando si è deciso che un risarcimento economico dovesse essere superato?
«Il rafforzamento di principi umani, l’idea di concetti e valori fondamentali, accolti dall’Onu, che hanno trasformato i tempi fin dalla loro elaborazione nel 1942. Il Piano Marshall fu l’esempio più emblematico»
In che termini?
«Il segretario di Stato americano, Morgenthau, come compensazione per i danni provocati e per eliminare eventuali velleità di riscossa, propose di trasformare la Germania in un Paese agricolo, radendo al suolo le industrie. L’idea fu bocciata dal presidente Roosevelt che, con il Piano, volle aiutare indistintamente Paesi alleati e lo sconfitto popolo tedesco. Alla proposta si opposero anche Stalin e Churchill».
Nessuna punizione, quindi, per i prepotenti del mondo che scatenano guerre?
«Sono tollerati embarghi di materie prime, mai di cibo o risorse primarie per la salute. La vicenda di Cuba resta un’anomalia. In caso di genocidio, com’è accaduto durante il conflitto tra serbi e croati iniziato nel’91, si istruiscono processi per crimini di guerra. E poi agli uomini, sanguinari dittatori compresi, resta la punizione peggiore: il faccia a faccia con la propria coscienza».
Dossier / Il peso della storia
L’incubo dell’inflazione
La sconfitta, unita alle durissime condizioni di pace, innescò uno spaventoso meccanismo d’inflazione. Un dollaro, che prima valeva intorno ai 4 marchi, arrivò a 4 mila miliardi. Da un giorno all’altro, perfino un francobollo poteva costare montagne di marchi, ridotti a carta quasi straccia.