Luigi Grassia, La Stampa 1/10/2010; Elena Polidori, la Repubblica s.d., 1 ottobre 2010
LUIGI GRASSIA
Messa una pezza alla crisi greca adesso scricchiolano Irlanda, Portogallo e Spagna. Una delle notizie più strabilianti della giornata è che il deficit pubblico (non il debito) dell’Irlanda quest’anno potrebbe raggiungere il 32% del prodotto interno lordo, mentre le regole dell’Eurozona richiederebbero (in teoria) un massimo del 3%. La rivelazione-choc viene dal ministro delle Finanze di Dublino, Brian Lenihan, che cita i costi crescenti del salvataggio del sistema nazionale del credito: secondo la Banca centrale d’Irlanda, infatti, la sola Anglo Irish avrà bisogno di 29,3 miliardi di euro, e altri 5 se ci fosse «uno scenario di stress». Inoltre Allied Irish necessiterà di 3 miliardi da aggiungere ai 7,4 miliardi già stimati come necessari per la ricapitalizzazione a spese dello Stato. In totale circa 45 miliardi di euro, che contribuiscono a far schizzare il disavanzo a livelli mai visti. Di fronte a questi numeri l’agenzia Fitch ammonisce che il rating del debito pubblico irlandese (cioè il grado di affidabilità, che concorre a determinare il costo del denaro), attualmente pari ad AA-, «non è del tutto garantito». Una dichiarazione sobria, viste le premesse.
Comunque per il ministro Lenihan «è fuori questione» che l’Irlanda chieda aiuti finanziari esterni; il premier Brian Cowen dice che le cifre del salvataggio bancario «sono gestibili»; il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn esige «entro novembre» un piano dettagliato di misure per ridurre il deficit irlandese, ma per ora non vede necessità di inviare a Dublino una delegazione Ue-Fmi; e il commissario alla concorrenza Joaquin Almunia elogia addirittura «la chiarezza del governo irlandese» sugli aiuti alle banche.
Un altro governo di un Paese con l’acqua alla gola che incassa lodi da Bruxelles è quello di Lisbona. Il Portogallo affronterà la crisi con misure draconiane di austerità: dal 2011 gli stipendi dei dipendenti pubblici verranno tagliati del 5% e l’Iva aumenterà dall’attuale 21% al 23%. È questo che piace agli altri governi, alla Commissione Ue e ai mercati, anche se la cura rischia di ammazzare il cavallo. Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, dice che le misure di aggiustamento portoghesi sono «audaci». Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, incita il Portogallo e l’Irlanda ad «accompagnare i piani di risanamento dei conti con riforme strutturali, volte a rafforzare l’economia». Anche il ministro delle Finanze di Lisbona, Fernando Teixeira dos Santos, esclude che il suo Paese ricorra all’aiuto dell’Europa.
E il quarto dei Paesi europei in bilico (i «Pigs»), la Spagna? Il giorno dopo lo sciopero generale, il governo di sinistra di Zapatero ha presentato in Parlamento la legge finanziaria 2011, la più severa da 30 anni. In giornata l’agenzia Moody’s ha abbassato il rating del debito spagnolo ma meno di quanto si temesse: un solo gradino, da AAA ad AA1, e la prospettiva è definita «stabile».
ELENA POLIDORI
DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES - Nel giorno in cui Moody´s declassa la Spagna facendole perdere la preziosa tripla A, dall´Ecofin informale di Bruxelles il ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, dichiara: «Non temiamo le nuove regole» sulla disciplina del bilancio e il livello del debito. «Siamo in zona di sicurezza. Fra tre anni l´Italia potrebbe non aver bisogno di nessuna correzione».
Tremonti interviene a margine del vertice Ue che, secondo le fonti ufficiali, non ha affrontato la riforma del patto di stabilità, proposta dalla Commissione: lo farà solo a metà ottobre. Parla mentre passeggia nel bel giardino dell´Egmont Palais e spiega perché, nonostante un Moloch del debito pari al 118,5% del Pil, contro un tetto del 60% previsto da Maastricht, l´Italia non incapperà nella stretta micidiale proposta dalla Commissione che comporta per il paese tagli da 46 miliardi l´anno per rientrare nei ranghi. «Facendo la somma algebrica tra attivi e passivi siamo appunto in zona di sicurezza». Il passivo è il debito, l´attivo è dato «dal basso livello del debito privato, dall´alto livello del risparmio, dall´avvenuta riforma delle pensioni giudicata dalla Ue positiva, da un sistema bancario abbastanza solido, dalla casa di proprietà». In futuro secondo il ministro bisognerà tener conto non solo dei «numeri freddi» come i parametri nudi e crudi ma pure della «overall sustainability», ovvero della sostenibilità complessiva del paese, di tutti i paesi. Per meglio spiegare questa sua teoria, Tremonti ricorre alla metafora della giacca: in una tasca c´è il debito pubblico, nell´altra l´attivo, composto appunto da tutti questi «altri indicatori» che secondo l´Italia, ma anche secondo tutti i paesi che si oppongono al rigore matematico reclamato dalla Commissione e dalla Germania, vanno tenuti in considerazione. Ma allora, niente tagli? Niente sanzioni? «So bene che dobbiamo fare una politica di responsabilità e la faremo, ma va tarata considerando appunto anche tutto il resto». O, come dice la collega francese Christine Lagarde, «la riforma è una idea eccellente in teoria ma le sue modalità sono tutte da discutere».
Una prima apertura all´interpretazione di Tremonti sulla nuova, contestata stretta proposta dalla Commissione arriva dal presidente dell´Eurogruppo, Jean Claude Juncker secondo cui l´Italia «non è a rischio sanzioni per il suo maxi-debito». Il commissario Ue, Olli Rehn, pare confermare che anche il debito privato sarà tenuto in conto: «E´ un fattore rilevante, specie se crea problemi al debito pubblico». Poi fa una battuta sulla teoria della giacca: «Comprerò un abito italiano». Tremonti comunque li ringrazia pubblicamente. Ma il banchiere Jean Claude Trichet, presidente della Bce resta fermo sulla linea del rigore: «La correzione dei debiti pubblici da parte dei governi deve essere un impegno serio». Il dibattito sul nuovo patto s´annuncia dunque caldo.
Nell´attesa, da Bruxelles arrivano anche messaggi rassicuranti sull´Irlanda, alle prese con la crisi della Anglo Irish Bank e sul Portogallo, pure in difficoltà. «Siamo fiduciosi» sugli impegni di austerity annunciati da Dublino e Lisbona, assicurano Juncker e Rehn. Il commissario nega anche l´esistenza di piani di salvataggio da parte di Ue e Fmi: gli irlandesi, se necessario, si muoveranno da soli. Di sicuro il deficit pubblico del paese schizzerà al 32% del Pil quest´anno per i costi di salvataggio delle banche calcolati tra i 40 e i 50 miliardi di euro.