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 2010  ottobre 01 Venerdì calendario

FRANCESCO GRIGNETTI

Silvio Berlusconi sarà pure un gran nocchiero, capace di condurre il vascello attraverso il mare in tempesta, ma intanto da Bossi («Niente più sbagli o si va al voto») a La Russa («Certo è difficilissimo proseguire con la spada di Damocle dei finiani») è palpabile il pessimismo. Racconta un anonimo ma importante esponente Pdl: «Andare al voto subito non è interesse di Fini che deve prima consolidare le sue posizioni sul territorio, né di Berlusconi che teme il forte astensionismo. Gli unici a guadagnarci sarebbero i leghisti. Ma è anche chiaro che se da ora in poi si procederà con il coltello alla gola, si può andare a sbattere in qualunque momento». E allora, archiviata già la mozione di sfiducia per Umberto Bossi che avrebbe potuto far precipitare le cose anzitempo, esaminiamo gli scogli che minacciano la rotta del governo.
Il partito di Fini
Il prossimo appuntamento dei finiani è quello di Perugia del 7 novembre: molto probabilmente il presidente della Camera annuncerà in quella sede la nascita del partito. Nel frattempo dice Benedetto Della Vedova, facendo il verso a Prodi: «Competition is competition. In chiave politica e alla lunga anche in chiave elettorale». Quando Fini qualche giorno fa ha esortato i suoi a «mettersi l’elmetto», intendeva dire proprio questo: marcare la differenza, distinguersi, combattere su ogni provvedimento. Sono già cominciati i dolori per la maggioranza. Martedì scorso alla Camera, quando s’è trattato di convertire il decreto in scadenza sulla Tirrenia, che prevede anche l’introduzione dei pedaggi sui raccordi autostradali, a guidare l’opposizione si son messi due deputati finiani, Aldo Di Biagio e Francesco Proietti Cosimi. Marcello De Angelis, il relatore, uno che è cresciuto nel vecchio Msi assieme ai due, ha cominciato a sudare freddo: «Se avessero voluto, era evidente che i voti del Fli, sommati a quelli dell’opposizione, avrebbero fatto cadere il governo. Io ci ho messo il carico dell’amicizia, loro non avevano alcuna intenzione di far saltare il banco e così Di Biagio ha ritirato un suo emendamento, ma in Aula siamo stati a un passo dalla catastrofe». I finiani, insomma, cominceranno presto a farsi notare e il resto dell’opposizione convergerà. Il senatore Mario Valditara, per dire, denuncia i tagli all’università e il ministro Gelmini quanto prima se la vedrà brutta. Sullo sfondo c’è poi la questione della legge elettorale.
La giustizia
E’ il tema più rovente. Il Pdl sta accelerando sul lodo Alfano al Senato: Carlo Vizzini ha presentato il nuovo testo che prevede lo scudo giudiziario solo per Capo dello Stato e presidente del Consiglio, cassando i ministri. Era la prima delle richieste di Giulia Bongiorno a Ghedini: neanche ha fatto in tempo a proferire parola e già l’hanno accontentata. Ma chiaramente non finisce qui. Si conosce tutta l’avversione dei finiani per il ddl sul Processo Breve che però è sempre in cima all’agenda berlusconiana. Lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura, poi, riforma che prefigura una dipendenza dei pm dal ministro della Giustizia, pur annunciata trionfalmente da Berlusconi alla Camera, rischia di non uscire mai dai cassetti.
I processi
Dentro il Pdl parlano chiaramente di «accerchiamento». Non sfugge che dalle procure di mezza Italia sia partita la caccia a tutti gli uomini del Presidente: Schifani a Palermo, Letta a Lagonegro, Bertolaso e Scajola a Perugia, Verdini a Firenze, Cosentino a Napoli, di nuovo Verdini e Dell’Utri a Roma, è tutto un fiorire di inchieste che colpiscono duro. E poi c’è la mina vagante del pentito Spatuzza: è il segreto di Pulcinella che tra Firenze e Caltanissetta sia stata riaperta l’inchiesta sulle bombe del 1993 che vide indagati «mister alfa» e «mister omega», che all’epoca erano Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Infine il processo Mills a Milano: per ora è sospeso, ma è questione di mesi.
La Consulta
Il 14 dicembre la Corte Costituzionale si esprimerà sulla costituzionalità del Legittimo impedimento. Entro quella data il Cavaliere vorrebbe vedere il lodo Alfano con il primo voto del Parlamento e sperare così che la Consulta rinvii il suo esame. Ma non è detto. E allora uno degli scenari più temuti a palazzo Grazioli è che si vada a votare a marzo, come prefigura il ministro Maroni, ma con i titoli dei giornali che raccontano di una condanna.

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GOFFREDO DE MARCHIS (la Repubblica)

ROMA - Sarà guerriglia quotidiana. Il Vietnam della maggioranza con agguati a sorpresa e sui temi più cari a Berlusconi e alla Lega. Nelle commissioni parlamentari un nuovo asse Pd-Udc-finiani-Idv-Mpa è in grado di stoppare provvedimenti, confermare presidenze scomode per il Cavaliere e creare l´incidente che affossa il governo. A metà ottobre si vota il rinnovo dei presidenti di commissione alla Camera e al Senato. Futuro e libertà alla Camera guida la Giustizia con Giulia Bongiorno e il Lavoro con Silvano Moffa. Chiede il bis per tutt´e due, ma non ha bisogno di pregare in ginocchio. Le opposizioni infatti si preparano a soccorrere gli esponenti di Fli. C´è una maggioranza sicura nella commissione di Moffa e una in bilico dove siede la Bongiorno. Ma l´incertezza vale anche per l´alleanza Pdl-Lega. L´altro luogo-chiave è il gruppo di lavoro sul federalismo fiscale. Un blitz lì, per il Carroccio, significa ammainare la bandiera della vita. E tornare in Padania con un pugno di mosche. La commissione presieduta dal Pdl Enrico La Loggia è paritetica. Ossia, composta da 10 membri di maggioranza e 10 di opposizione. Il finiano Mario Baldassari diventa ora l´ago della bilancia. Con tutti i rischi del caso.
La vera fiducia al premier è dunque una fatica del giorno per giorno. Il leghista Roberto Calderoli, che conosce bene i meccanismi parlamentari, lo ha detto subito dopo il voto della Camera: «Conta quello che succede nelle commissioni». E le commissioni ballano. Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello hanno spedito una lettera ai senatori del Pdl. «La nascita del gruppo Futuro e libertà provocherà di certo un aumento dell´impegno per garantire la maggioranza nelle commissioni», scrivono. È una supplica ai colleghi, l´allarme rosso di chi non si fida dei voti di fiducia. Il Pd del resto ha rotto gli argini. Vede il traguardo vicino. La strategia è chiara: cercare sempre una convergenza con finiani e uomini di Lombardo. Ricreare a Roma le condizioni della nuova giunta siciliana. Vale a dire sbattere all´opposizione Berlusconi. «Certo che voteremo con Fli. Possiamo fare molto male al Pdl. La conferma di Bongiorno e Moffa? Siamo favorevoli», diceva Dario Franceschini alla Camera mercoledì. Anche il capogruppo finiano Italo Bocchino non esclude nulla: «Vediamo come sono distribuiti i 5 usciti dall´Udc. Comunque, siamo determinanti in molte commissioni». È una situazione critica che Pdl e Lega hanno ben chiara. Tanto che l´ordine di scuderia, nelle ultime ore, è quello di rinfoderare le spade. Niente offensiva contro i presidenti, si punta alla stabilizzazione del quadro attuale. Bongiorno compresa.
Per le mani dell´avvocato di Fini passano i provvedimenti più "cari" al premier: intercettazioni, processo breve, lodo Alfano. Oggi opposizioni e finiani, con l´aggiunta di un deputato liberal-democratico che ha detto no alla fiducia, contano 24 voti su 47 membri della commissione Giustizia. Sulla carta si può creare un fronte anti-berlusconiano anche alla commissione Affari costituzionali. Pdl-Lega e Udc scissionisti hanno 24 voti. Ne manca uno per essere maggioranza. Nell´organismo che vigila sul Bilancio, presieduto dal leghista che si occupa del dossier banche Giancarlo Giorgetti, la maggioranza senza finiani è sotto di uno (23 su 47). Alla Finanze il governo è sopra di uno. E nella commissione Lavoro, quella guidata da Moffa, un´asse Pd-Udc-Idv-Fli-Api-Mpa (che con l´eccezione di Di Pietro ricalca il modello Sicilia) ha una solida maggioranza di tre voti. Si capisce allora perché dal gruppo Pdl di Montecitorio sta partendo una lettera simile a quella firmata da Gasparri e Quagliariello. Si capisce anche perché la Lega vede solo il voto anticipato. A marzo. Se non prima.