Luca Ricolfi, La Stampa 1/10/2010, 1 ottobre 2010
Incassata la fiducia anche al Senato, il governo Berlusconi ci riprova. Se i finiani lo lasceranno lavorare, tenterà di governare fino al 2013
Incassata la fiducia anche al Senato, il governo Berlusconi ci riprova. Se i finiani lo lasceranno lavorare, tenterà di governare fino al 2013. Altrimenti si andrà al voto molto presto, presumibilmente già la primavera prossima. Ma come siamo arrivati a questo punto? Come è stato possibile che la più larga maggioranza conferita dagli italiani a un governo si sciogliesse come neve al sole? Apparentemente è successo per ragioni personali, per la rivalità fra i due cofondatori del Pdl, Berlusconi e Fini. Il primo incapace di sopportare il dissenso politico interno, il secondo preda di ripensamenti politico-morali sull’uomo Berlusconi, dipinto come leader autoritario, manovratore dei media, ostinato nel sottrarsi ai processi, irrispettoso della magistratura e delle istituzioni. Quella delle rivalità personali, però, è una spiegazione molto parziale. Può darsi che Berlusconi e Fini non si siano mai stati simpatici. Ed è probabile che a far precipitare la situazione sia stata anche la percezione, da parte di Fini, che non sarebbe stato lui il successore di Berlusconi alla guida del centro-destra. E tuttavia, se ripercorriamo la storia di questi anni, è evidente che la rottura di oggi ha anche, se non soprattutto, genuine radici politiche. Fra Berlusconi e Fini (ma si potrebbe allargare il discorso: fra il duo Berlusconi-Bossi e il duo Fini-Casini) c’è sempre stata una differenza nel modo di fare politica, di comunicare con gli elettori, di stare nelle istituzioni: populisti, scanzonati e irridenti Berlusconi e Bossi, tradizionali, ingessati e seriosi Fini e Casini. Con tutto quel che ne segue quanto al senso delle regole, al rispetto delle forme, ai rapporti con gli altri poteri, a partire da quelli del Presidente della Repubblica, del Parlamento, della Magistratura. Queste diversità, di stile ma anche di sostanza, sono sempre esistite, e non hanno mancato di creare tensioni, nonché alleanze inedite, anche in passato. Ricordate il sub-governo Fini-Casini-Follini alla fine della legislatura 2001-2006, quando Tremonti venne costretto alle dimissioni? E l’ipotesi (poi tramontata) di alleanza elettorale Casini-Fini alla fine del 2007, dopo essere stati messi davanti al fatto compiuto del nuovo partito di Berlusconi, con il famoso «discorso del predellino»? Per non dire delle più antiche tentazioni centriste e moderate di Fini, come la fallita alleanza con Mario Segni ai tempi dell’Elefantino (Europee del 1999). Perché in passato queste differenze sono sempre state superate e ricomposte, mentre oggi tendono a esplodere, fino a delineare la nascita di un Terzo polo centrista? La ragione principale, a mio modo di vedere, è che ai vecchi motivi di attrito, legati essenzialmente a differenti concezioni della politica e delle istituzioni, se ne è aggiunto ora uno molto più concreto e tangibile: il federalismo. O meglio, il rischio che dalla fase delle enunciazioni di principio e dei discorsi alati su solidarietà e responsabilità, si passi alla bassa cucina dei decreti delegati, con tagli e sacrifici per tutti, tanto più grandi quanto più in passato si è speso, sprecato ed evaso. Un rischio che la crisi economica internazionale ha reso più acuto, e che potrebbe pesare soprattutto sul Sud, non già come risultato di una volontà politica anti-meridionale, ma come conseguenza aritmetico-contabile del fatto che lì, nelle regioni del Mezzogiorno, e segnatamente in quelle di mafia, si concentrano la maggior parte delle storture della Pubblica amministrazione. E poiché è nel Sud che i partiti del Terzo polo raccolgono la maggior parte dei loro voti, ecco che le frizioni fra il duo Berlusconi-Bossi, prevalentemente insediato al Nord, e il duo Fini-Casini, prevalentemente insediato al Sud, trovano una seconda, ben più corposa, sorgente di alimentazione: accanto alle antiche diversità nel modo di stare nelle istituzioni, le nuove diversità legate agli interessi e ai territori rappresentati. In questo senso il Terzo polo potrebbe diventare il collettore di due diversi segmenti elettorali: i moderati, à la Indro Montanelli, culturalmente di destra ma insofferenti del radicalismo anti-istituzionale di Berlusconi; e i nemici del federalismo, che molto si preoccupano della coesione nazionale ma ancor più temono la chiusura dei rubinetti della spesa pubblica nel Sud. Se è innanzitutto la diffidenza per il federalismo ciò che ha fatto precipitare le cose, allora lo scenario che ci attende alle prossime elezioni è davvero del tutto inedito. Siamo abituati a pensare che lo scontro sia fra destra e sinistra, con il centro in mezzo. Ma se la posta in gioco cruciale sarà il federalismo, allora i due estremi dello spettro politico non potranno che essere la destra di Bossi e Berlusconi, insediata al Nord e custode del progetto federale, e il Terzo Polo di Fini-Casini (ma anche di Lombardo, e forse di Rutelli), insediato al Sud e nemico giurato della Lega. E la sinistra, insediata nelle regioni rosse dell’Italia centrale? Divisa com’è fra fautori e detrattori del federalismo, non potrà che stare in mezzo, fra il federalismo della destra nordista e l’antifederalismo dei centristi del Terzo polo. Insomma un bel rebus. Perché nessuno dei tre poli avrebbe la maggioranza dei consensi (Pdl-Lega: 40%; Sinistra: 40%; Terzo polo: 20%). Perché chi conquista il premio di maggioranza alla Camera potrebbe benissimo non avere la maggioranza dei seggi anche al Senato. E, infine, nessuna delle tre super alleanze possibili fra i tre nuovi poli darebbe la benché minima garanzia di saper governare l’Italia. Stampa Articolo