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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

ORA LA MAGGIORANZA DIPENDE DAI FINIANI —

Alla fine Silvio Berlusconi si è fermato a 307 perdendo la scommessa dei 316. O meglio, nel caso di ieri, dei 309, vale a dire la metà più uno della maggioranza richiesta, contati gli assenti al voto di fiducia alla Camera. Perché, se ai 342 deputati che hanno votato «sì» vengono tolti i 31 finiani e i 4 dell’Mpa, si arriva a 307 voti «sicuri» per il governo. In altre parole il Cavaliere non è riuscito ad incassare nuovi acquisti dal gruppo misto e da partiti moderati, come l’Udc e l’Api, ed ora dovrà considerare «essenziali» per la sopravvivenza della maggioranza i voti di Fli ed Mpa: senza, con tutti i deputati in Aula, si fermerebbe a quota 309 (ieri c’erano due assenti). Anche perché questi due gruppi hanno firmato insieme una delle quattro risoluzioni della fiducia, proprio per sottolineare l’intesa che hanno raggiunto e che, di fatto, viene ormai considerata come terza gamba del centrodestra, dopo il Pdl e la Lega.
Ma anche se in futuro l’Mpa si riconvertisse ad un’alleanza preferenziale con il Pdl scaricando i finiani e, ad una prossima votazione, fossero tutti presenti, il quorum berlusconiano arriverebbe a 314, due in meno di quanto Berlusconi sognava (e alcuni suoi fedelissimi davano per certo) per essere autosufficiente dal presidente della Camera. Senza poi contare gli equilibri all’interno delle commissioni che ora, dopo la nascita di Futuro e Libertà, dovranno essere rivisti e che potrebbero portare, in non pochi casi, il fronte berlusconiano in minoranza.
Ieri, poco prima della votazione, si sono registrati gli ultimi aggiustamenti. Tra i due ex dell’Api approdati al gruppo misto, Bruno Cesario ha votato a favore mentre Massimo Calearo non ce l’ha fatta a «tradire» la fiducia data a suo tempo a Walter Veltroni e si è astenuto: «L’ho fatto solo per lui». A compensare questa scelta ci ha pensato però un altro componente del gruppo misto, l’ex idv Americo Porfidia, che già da alcuni giorni era in odore di voto favorevole. Ma a pesare un bel po’ sulla bilancia della maggioranza è stato il «no» dei tre liberal democratici che, votando a favore, avrebbero fatto registrare 310 alla maggioranza, cioè uno in più di quelli richiesti ieri, sempre al netto dei finiani. Un «no» molto legato alla «delusione» sui provvedimenti in tema di giustizia, come ha spiegato in aula Daniela Melchiorre. Con Italo Tanoni che ha aggiunto nuovi particolari sull’incontro con Berlusconi della sera prima: «Mi ha detto che non potevamo votare contro perché eravamo stati eletti nelle liste del Pdl, ma gli ho fatto presente che dall’inizio della legislatura abbiamo preso nettamente le distanze da Lamberto Dini e dalla sua linea politica votando contro i provvedimenti del governo».
Il gruppo dell’Mpa ha fatto una dichiarazione di voto con tali accuse al governo, che avrebbe fatto poco o niente per il Sud, da sembrare per il «no», invece si è espresso a favore, tranne Aurelio Misiti (assente). Invece Noi Sud ha votato la fiducia in modo convinto (in 4, assente Antonio Gaglione). Si sono aggiunti al fronte berlusconiano anche i 5 dissidenti dell’Udc, il repubblicano Francesco Nucara e l’ex udc Francesco Pionati (Adc). Tra i finiani era in missione Roberto Menia, ma hanno votato contro Mirko Tremaglia (perché sente tradita la sua politica nei confronti degli italiani all’estero) e Fabio Granata (subito chiamato a rapporto da Gianfranco Fini). Giancarlo Pittelli non è riuscito a votare «no» insieme al resto del Pdl (perché colto da un lieve malore) e non ha partecipato anche Rocco Buttiglione (avrebbe votato «no»). Assenti anche 4 deputati del Pd, ma giustificati da malattie e lutti familiari. Un’astensione «convinta» è venuta invece dai due esponenti della Svp (Brugger e Zeller) perché «il nostro partito non fa da stampella a nessuno e vota ogni provvedimento secondo coscienza».
Roberto Zuccolini