Stefano Landi, Corriere della Sera 29/09/2010, 29 settembre 2010
SILVIA, BERGAMASCA D’IRLANDA «IL DIVARIO CON L’ITALIA E’ NEI FONDI»
Antenati d’ oltremanica, impeccabile gaelico sfoggiato coi tassisti di Dublino e posto d’ onore al Faculty Club, il circolo accademico più esclusivo dai tempi di Jonathan Swift al Trinity College. Silvia Giordani, bergamasca d’ Irlanda con un curriculum vitae lungo un elenco del telefono, mangiando libri di nanotecnologie e insalate di fotochimica si è aggiudicata il premio da un milione di euro che il governo irlandese riserva ai migliori progetti scientifici. Oggi guida uno staff internazionale di giovani ricercatori a Dublino. Quando è arrivata? «La prima volta nel 2003 per il progetto di ricerca europeo Marie Curie. Sono tornata nel 2007 con il "President of Ireland Young Researcher Award". L’ Irlanda ha investito molto nelle nanotecnologie». Quando ha capito che avrebbe dovuto lasciare l’ Italia? «Nel giugno del ’ 99, il giorno in cui mi è arrivata la borsa di studio dall’ Università di Miami». La sua giornata tipo a Dublino? «Il mio è un lavoro di valorizzazione delle idee e regia per le pubblicazioni. Incontro i miei ricercatori individualmente per discutere i risultati che ottengono e organizzo i meeting con altri gruppi di ricerca. Poi c’ è il networking, via email, conference calls. Poi la perenne ricerca di fondi». Resta del tempo libero? «Mi piace fare giardinaggio e girare in bicicletta». La più grossa differenza tra fare ricerca in Italia e all’ estero? «I fondi di ricerca: non tutti hanno capito esattamente cosa facciamo e quanto questo sia il futuro di un Paese». Cosa ti raccontano i colleghi italiani? «Si lamentano per l’ incertezza del futuro». Perché non vengono gli stranieri in Italia? «Perché non ci sono condizioni economiche competitive». La differenza di stipendio medio fra Irlanda e Italia? «Il divario più grande è nelle fasce più basse: dottorandi e ricercatori. Le borse di studio qui sono quasi il doppio». Il consiglio che darebbe a un ricercatore italiano? «Di partecipare a progetti internazionali che portano finanziamenti, ma soprattutto la possibilità di confrontarsi con altre realtà. Poi guardare alle associazioni internazionali di ricercatori, tipo Euroscience, per promuovere discussioni che vadano oltre il campo specifico di ciascuno». Il consiglio che ha ricevuto e che l’ è servito di più? «Mio fratello mi diceva di non aver mai paura, le paure frenano creatività e progresso». Ha un modello professionale? «Il professor A.P. De Silva dell’ Università Queens di Belfast: uno scienziato brillante, persona modesta dotata di umanità incredibile». Come (e dove) si vedi fra dieci anni? «Andrò dove mi porta la ricerca. Magari sarò professore ordinario qui al Trinity, magari in Italia. Mi piacerebbe mettere a disposizione l’ esperienza maturata all’ estero».
Stefano Landi