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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

LETTERE

Venerdì 3 settembre un operaio è morto schiacciato da un blocco di marmo in una cava a Serle, Brescia. Queste morti sono diventate uno stillicidio quotidiano, di cui la maggiorparte dei mezzi d’informazione parla pochissimo, e quando lo fa le definisce “morti bianche”. Anche sul sito dell’Associazione Mutilati e Invalidi del Lavoro leggo spesso nelle news “morti bianche”. Vorrei che mi spiegassero, cosa c’è di bianco in una morte sul lavoro? Negli anni Sessanta le chiamavano omicidi sul lavoro, termine molto forte ma più realistico. Chiamarle “morti bianche” è un insulto ai familiari e alle vittime. Molte volte chi perde un proprio caro sul lavoto è abbandonato a se stesso. L’unica cosa che i familiari ricevono dall’Inail è il rimborso delle spese funerarie (circa 1.800 euro). E quando si ha diritto a una rendita (o per invalidità o per malattia professionale o per morte sul lavoro) c’è da lottare per vedersela riconosciuta. La legge per l’assicurazione contro gli infortuni e le morti sul lavoro, il DL 1124 del 30 giugno 1965, ha 45 anni. Non sarebbe l’ora di cambiarla in modo da tutelare maggiormente gli infortunati e i familiari delle vittime. Oggi dobbiamo affidarci a sentenze della Corte Costituzionale perché quella legge sia cambiata in meglio. Inoltre l’Inail è commissariata dal 15 settembre 2008 e questo commissariamento andrà avanti almeno fino al 31 dicembre 2010. E il tesoretto Inail, derivante dagli avanzi di bilancio, sfiorerà a fine 2010 i 15 miliardi di euro e dovrebbe essere utilizzato per tutelare di più gli infortunati sul lavoro, invece viene usato dallo Stato per ripianare i propri debiti. Uno stato che si definisce civile dovrebbe tutelare maggiormente i più deboli.
Marco Bazzoni, metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Firenze)