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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

IL FISCO USA INDAGA SUI FONDI AI PARTITI

Il confronto politico americano è arrivato in tribunale. Anzi, peggio, all’attenzione del fisco, del temuto Internal Revenue Service. La tempesta, proprio mentre un sondaggio di Wsj e Nbc conferma l’ascesa dei Tea Party, si è scatenata ieri, dopo che il senatore democratico Max Baucus ha inviato al capo della Irs, Doug Shulman, una lettera con cui chiede di aprire un’inchiesta formale su presunte irregolarità di nuove organizzazioni esentasse che finanziano la politica. Obiettivo: dichiarare illegali certi finanziamenti elettorali, soprattutto ai repubblicani, elargiti in violazione della sezione 501(c)4 del codice fiscale. La regola autorizza organizzazioni ad hoc a raccogliere e distribuire senza limiti i loro fondi esentasse a una campagna o un causa con un’unica restrizione: non possono coordinarsi direttamente con un candidato o con un partito e debbono mantenere una connotazione di «organizzazione per gli aiuti sociali» che secondo Baucus è stata violata. Ma i confini sono molto vaghi: provare le irregolarità non sarà facile. I democratici accusano i nuovi fondi di essere “occulti”.

La polemica è di vecchia data. Risale a una decisione della Corte Suprema dello scorso gennaio, che non poneva limiti alle donazioni politiche per gruppi esterni ai partiti. La regola ovviamente vale per tutti. Vale per i sindacati ad esempio, che possono mobilitare ingenti quantità di danaro. O per miliardari democratici come George Soros e le sue organizzazioni filantropiche che promuovono cause della sinistra. Ma oggi il rapporto è tre a uno a favore dei repubblicani. E negli ultimi mesi che la corsa al finanziamento, al «superpac», come lo definisce ieri il Washington Post si è fatta ossessiva.

Vi sono richieste di registrazione di nuove organizzazioni al ritmo di una o più al giorno. Il pericolo è quello di snaturare il processo di gestione dei costi di una campagna elettorale svuotando il ruolo del partito tradizionale. Karl Rove, l’ex stratega di George W. Bush ad esempio, attraverso la sua America Crossroads ha già raccolto 30 milioni di dollari ed è certo di arrivare a 50 milioni entro breve.

A questo punto, grazie alla sentenza della Corte Suprema, anche aziende possono dare contributi ingenti. Una società pubblica, la American Financial Group, ha donato 400mila dollari in un colpo solo ad American Crossroads. I fratelli Charles e David Koch hanno donato milioni di dollari all’organizzazione America for Prosperity, sospettata di aver girato ingenti quantità di danaro ai Tea Party, il movimento che più di ogni altro ha beneficiato delle nuove leggi per i finanziamenti. E difatti sono proprio i sistenitori di Sarah Paline Glenn Beck ad avanzare: il sondaggio di ieri di Wsj e Nbc afferma che coloro che si identificano con il movimento Tea Party potrebbe rappresentare entro novembre ben un terzo di coloro che si recheranno alle urne. Mario Platero

I FINANZIATORI INVISIBILI DEL VOTO - David Axelrod, il più ascoltato consigliere di Barack Obama alla Casa Bianca, lo ha definito il "fattore stealth", e cioè l’aspetto invisibile di questa campagna elettorale. Che a suo dire potrebbe far regredire l’America di oltre un secolo, facendola tornare un paese in cui l’oligarchia economico-finanziaria e le grandi corporation controllano la cosa pubblica.

«In gioco c’è il futuro della democrazia», ha ammonito Axelrod. Il riferimento è all’enorme flusso di finanziamenti di origine ignota diretti a partiti e candidati.

Che le elezioni si potessero "comprare" a suon di spot elettorali era già evidente da anni. Basti pensare all’ex amministratore delegato di Goldman Sachs Jon Corzine che per farsi eleggere senatore del New Jersey nel 2000 spese ben 62 milioni di dollari di tasca propria. O allo stesso sindaco di New York Michael Bloomberg, che per ottenere il terzo mandato di milioni ne ha spesi 109.

La differenza è che l’origine di quei soldi era chiara a tutti. Adesso invece si parla di cifre ben maggiori - a detta dei democratici sono stati già superati i 400 milioni di dollari - la cui provenienza è tenuta nascosta agli elettori. Dietro allo schermo di Onlus dai nomi volutamente ambigui che non hanno alcun obbligo di dichiarare l’identità dei propri finanziatori.

Nell’anno della rivolta dal basso del movimento del Tea Party sta emergendo che a finanziare i suoi candidati non è stata la base, bensì il denaro raccolto da vecchie volpi della politica. Attraverso entità di facciata sovvenzionate da oligarchi e grandi corporation.

Si prendano gli esempi di Christine O’Donnell e Joe Miller, i candidati del Tea Party (e di Sarah Palin) che hanno sorprendentemente vinto le primarie repubblicane in Delaware e in Alaska. Il maggior finanziamento lo hanno ricevuto da un organizzazione chiamata Tea Party Express, che ha donato complessivamente più di 800mila dollari, senza i quali, concordano gli analisti, né l’una né l’altro avrebbero vinto. Ebbene, il Tea Party Express è una creazione di Sal Russo, 63enne notabile repubblicano da sempre legato all’establishment del partito. Lo stesso che i ribelli del Tea Party dicono di detestare.

Da un’inchiesta della rivista New Yorker è del resto emerso che a soffiare finanziariamente sul fuoco del Tea Party sono stati due ricchissimi petrolieri, i fratelli Charles e David Koch che da decenni finanziano qualsiasi iniziativa politica che coincida con le loro idee "libertarie" - sarebbe a dire meno tasse e meno regulation possibili - e con i loro interessi - sarebbe a dire meno tasse e meno regulation possibili per l’industria in cui operano. Adesso hanno scoperto il Tea Party, finanziato a suon di milioni da un’organizzazione da loro gestita con un nome tanto innocuo quanto insipido: Americans for Prosperity.

«Fino a oggi il movimento libertario, che i Koch hanno sempre sponsorizzato, ha avuto il grande problema di essere composto da tanti generali e nessun soldato. Con il Tea Party, sono riusciti a trasformare il loro progetto politico personale in un movimento di massa» ha spiegato Bruce Bartlett, economista e storico conservatore che ha lavorato per una fondazione finanziata dai Koch. Secondo Bartlett i due fratelli petrolieri starebbero continuando a cercaredi plasmare e indirizzare la rivolta populista nella direzione non solo politica ma anche economica che a loro fa più comodo.

Altro caso di Onlus che anziché essere «socialmente utile» serve gli interessi del miliardario che la finanzia, è quello di Americans for Job Security (Americani per la sicurezza del posto di lavoro). Nel 2007 ha finanziato una campagna referendaria in Alaska contro l’apertura di una miniera di rame nella Baia di Bristol, ed è poi emerso che il 1,6 milioni dollari di quella campagna non venivano dai contributi di sostenitori ma quasi interamente da un ricchissimo finanziere di nome Robert Gillam, proprietario di una villa sulla baia che voleva proteggere la sua vista.

Come si legge in un rapporto della Commissione affari pubblici dell’Alaska trovato dal New York Times «Ajb non è altro che una società di facciata che serve a incanalare fondi che si vogliono utilizzare per fini politici senza che se ne sappia l’origine».

Ajs, che negli ultimi mesi ha investito 6 milioni di dollari in spot televisivi a favore dei repubblicani, condivide gli uffici in Virginia con un’entità dal nome ancor più anonimo, American Crossroads, che di milioni intende spenderne almeno 50. E chi è il suo deus ex machina? Karl Rove, il "consigliori" politico di George W. Bush.

A rendere possibile quella che un editoriale del New York Times ha definito «la campagna elettorale più oscura» dai tempi del Watergate, è stata una decisione presa dalla Corte Suprema il 21 gennaio scorso nel procedimento Citizens United Vs the Fec, che di fatto ha liberalizzato i finanziamenti elettorali delle grandi corporation (oltre ai sindacati) in nome della libertà di espressione.

Sono mesi che i democratici in Congresso cercano di porre rimedio istituendo perlomeno l’obbligo della trasparenza. Ma giovedì scorso, per la seconda volta in tre mesi, i repubblicani hanno usato l’arma dell’ostruzionismo per bloccare una riforma di legge che obbligherebbe chi fa propaganda politica a rivelare i nomi dei propri finanziatori.
Claudio Gatti