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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

L’ORA DELL’AUSTERITÀ

La nuova austerità europea è iniziata ieri a Bruxelles, condensando in una giornata il clima che ci attende nei prossimi anni. Da un lato la Commissione Ue che presenta le sue proposte per ridurre debito e deficit degli Stati troppo indebitati. Dall’altro i sindacati di tutta Europa che si sono dati appuntamento nelle strade della capitale belga per una protesta all’insegna dello slogan “non vogliamo pagare il conto della crisi”. Mentre l’Italia, un po’ in sordina, rivede di nuovo al ribasso le stime di crescita per il prossimo anno.

Le sanzioni

per chi sfora

LA COMMISSIONE non ha l’ultima parola sulle nuove punizioni per chi sfora i parametri del debito del Trattato di Maastricht. Chi decide davvero è il Consiglio europeo, che raccoglie i capi di Stato e di governo, e lì sarà complicato trovare una sintesi, visto che lunedì sera il vertice dei ministri economici e finanziari si è chiuso senza che si arrivasse a un accordo. Ma la linea della Commissione è comunque indicativa del clima e di quello di cui si discute. In sintesi, le proposte della Commissione per riportare sotto controllo i conti pubblici e metterli al riparo dagli attacchi dei mercati finanziari sono queste. L’obiettivo è arrivare al pareggio di bilancio nel medio termine; per raggiungerlo gli Stati in deficit (cioè che spendono più di quanto incassano), devono ridurlo dello 0,5 per centoognianno.Sequestonon succede e si continua a scialare, la Commissione alzerà un cartellino giallo, dando un avvertimento . Poi passerà alle vie di fatto, pretendono un deposito infruttifero (cioè una cauzione) pari allo 0,2 per cento del Pil che, se le cose non cambiano, diventerà una multa. Per l’Italia lo 0,2 per cento vale circa 320 milioni di euro.

La Commissione propone anche che i Paesi con un debito elevato, superiore al 60 per cento del Pil (il nostro è al 118), lo riducano dello 0,05 ogni anno della quota che eccede il 60 per cento. Per l’Italia significherebbe la stratosferica cifra di 52 miliardi in un anno. Un risanamento insostenibile. “Un debito pubblico enorme è un qualcosa di deleterio e di antisociale, perché vuol dire che non si possono fare spese nei settori in cui c’è bisogno, d’ora in poi deficit e debiti pubblici eccessivi dovranno essere trattati alla stessa stregua”, ha spiegato il presidente della Commissione José Barroso. Nonostante quello che ha ribadito ieriallaCameraSilvioBerlusconi, la richiesta italiana di considerare anche l’indebitamento privato(cosachecifasembrareun po’piùvirtuosi)nonsembraessere stata accolta. Il commissario agli Affari economici Olli Rehn ha però voluto dare un contentino al governo italiano e ha promesso che “terremo conto del debito privato nel caso in cui abbia un impatto significativo nel servire il debito pubblico”. Tradotto: per i Paesi che hanno basso indebitamento privato come l’Italia ci sono margini di trattativa.

Cosa rischiamo

in Italia

C’È DA PREOCCUPARSI?

Le sanzioni del Patto di Stabilità prima maniera non hanno mai davvero funzionato. Ma la ragione era che anche i Paesi virtuosi come la Germania erano indeficit.Equindinessunoaveva davvero interesse ad applicare il rigore. I tempi, però, sono cambiati. Ora i tedeschi hanno messo addirittura nella Costituzione l’obbligo di avere il bilancio in pareggio (assieme a un tetto alla pressione fiscale) e l’attenzione dei mercati finanziari sull’andamento del debito è tale che Portogallo e Irlanda stanno pagandoacaroprezzocomeinteressi supplementari sul debito pubblico di nuova emissione.

A luglio l’Italia ha fatto una manovra da 25 miliardi che non riduce lo stock del debito, ma si limita a contenere l’aumento della spesa congelando stipendi dei dipendenti pubblici e riducendo i trasferimenti dallo Stato agli enti locali. E, per ora, sembra mantenersi fuori dal mirino degli investitori. Ieri il governo ha diffuso la Decisione di Finanza Pubblica 2011-2013 (nuova versione dell Dpef) che aggiorna le previsioni sull’andamento dell’economia. Stando al documento, la manovra dovrebbe aver messo in sicurezza i conti almeno per un po’, con il deficit che dovrebbe scendere dal 5 per cento del Pil nel 2010 al 3,9 nel 2011 e, nel 2012 asse-starsi sotto la soglia del 3 per cento (2,7). La crescita nel 2010 sarà un po’ più bassa del previsto (1,2 invece di 1 per cento) e un po’ più bassa nel 2011,cioè1,3invecedi1,5.Per capire se il risanamento regge, però, bisogna aspettare di verificare se i tagli agli enti locali saranno efficaci. Cioè se la spesa sarà ridotta di conseguenza o le entrate aumenteranno per coprire i mancati trasferimenti.

La rivolta

dei sindacati

“I LAVORATORI sono in piazza per mandare un messaggio ai leader europei”, spiegava ieri John Monks, segretario generale della Confederazione sindacale europea, promotrice ieri della protesta per le strade di Bruxelles. E il messaggio è questo: non bisogna rassegnarsi all’austerità perché questo significa far pagare ai cittadini il conto di una crisi maturata in gran parte nel settore della finanza, “non c’è urgenza, non c’è panico”. I mercati finanziari, però, la pensano diversamente. E, almeno in questa fase, sanno essere più persuasivi dei sindacati.