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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

I Buffalo Coins, le monete di Stato a 24 carati della Zecca federale, sono esauriti da tempo. A Wilmington nel Delaware la più grossa società specializzata nella custodia di lingotti, First State Depository, ha dovuto costruire nuovi magazzini e allargare il parco furgoni bilndati: l´oro affidatole dai clienti è triplicato dal primo gennaio di quest´anno

I Buffalo Coins, le monete di Stato a 24 carati della Zecca federale, sono esauriti da tempo. A Wilmington nel Delaware la più grossa società specializzata nella custodia di lingotti, First State Depository, ha dovuto costruire nuovi magazzini e allargare il parco furgoni bilndati: l´oro affidatole dai clienti è triplicato dal primo gennaio di quest´anno. La nuova febbre dell´oro - il bene rifugio che sembra destinato a rafforzarsi ad ogni crisi - non si ferma davanti a nessun record. Ha sfondato la soglia dei 1.300 dollari l´oncia, e la principale associazione del settore, la London Bullion Market, in un´assemblea a Berlino ha previsto che salirà a 1.450 dollari l´anno prossimo. Una proiezione quasi prudente, rispetto ad altre che circolano sul mercato: la Deutsche Bank, per esempio, punta su 1.600 dollari. Davanti alla travolgente marcia dell´oro si è arresa perfino l´ultima Cassandra: l´economista inglese Julian Jessop. Per mesi ha messo in guardia contro una bolla speculativa e ha previsto un capitombolo a 1.000 dollari, ora si è ufficialmente pentito. «Il prezzo dell´oro - ha scritto Jessop nell´ultima analisi per conto della Capital Economics - resterà alto ancora per molti anni, sostenuto dalla paura di un tracollo del dollaro». Trovare una razionalità dietro un rialzo che ormai ha raggiunto il 355% in dieci anni, è difficile. In questo decennio di "rivincita dell´oro", tornato in auge dopo che gli economisti avevano celebrato i suoi funerali, nel mondo è successo di tutto: boom e recessioni, ascesa dei paesi emergenti e crac finanziari, fiammate inflazionistiche seguite da timori di deflazione. A ogni allarme, qualcuno trovava un nuovo motivo per comprare oro. Magari il motivo opposto a quello per cui l´oro era salito nella fase precedente. Lo si è definito un investimento sicuro se i prezzi salgono all´impazzata: ma in questo momento l´inflazione è piatta in tutto l´Occidente. L´ultima causa semi-segreta del suo revival è custodita nelle arcane stanze delle banche centrali. Il capitolo più recente, nella pazza corsa dell´oro, lo hanno innescato proprio loro. Ha cominciato l´anno scorso la banca centrale della Repubblica Popolare cinese: a bruciapelo ha rivelato di avere raddoppiato le sue riserve aurifere, portandole a 1.054 tonnellate. Pechino ha dato il segnale: precipitosamente si sono affrettate a fare lo stesso le banche centrali di India, Russia, Arabia saudita, Filippine. Con maggior discrezione, qualcosa di simile è accaduto anche in Europa. Le banche centrali dell´Eurozona, più quelle della Svizzera e della Svezia, che sono firmatarie del Central Bank Gold Agreement, hanno interrotto le loro vendite di oro sui mercati, che per un decennio erano state una fonte di offerta importante. Lo hanno fatto in punta di piedi, probabilmente per la vergogna. In quanto a tempismo, infatti, i banchieri centrali europei non hanno fatto una gran figura. Arci-convinti che l´oro era ormai una reliquia del passato, per tutti gli anni Novanta e anche per buona parte dell´ultimo decennio i governatori liquidarono gradualmente le loro riserve. Meglio, molto meglio, sostituirle con i buoni del Tesoro di varie nazioni: quelli almeno danno un interesse, mentre i lingotti non rendono nulla e per di più costano (spese di custodia, sicurezza). Il Central Bank Gold Agreement era nato in un mondo alla rovescia: era un accordo tra i governatori europei per evitare vendite troppo massicce, un elemento di moderazione perché le riserve aurifere non venissero svendute tutte insieme. Anche se i banchieri centrali dell´Eurozona preferiscono non dare troppa pubblicità a quel colossale errore di calcolo, oggi si sa che la massima parte delle loro vendite di oro avvennero a prezzi sotto i 500 dollari l´oncia. Ora i banchieri si son detti - meglio tardi che mai - che l´oro rimasto nei loro forzieri conviene tenerselo ben stretto. Tanto più che i loro colleghi delle potenze emergenti, da Pechino a New Delhi, ne stanno facendo incetta. La sterzata in favore dell´oro da parte delle autorità monetarie del mondo intero, ha gettato altra benzina sul fuoco della speculazione mondiale. Una febbre che è stata facilitata anche dall´avvento di nuovi strumenti finanziari. In America, per esempio, a fianco ai patiti delle monete a 24 carati e dei lingotti "fisici", un esercito di risparmiatori ha imparato a investire in oro "immateriale" usando gli exchange-traded funds (Etf), nuovi fondi comuni specializzati nelle materie prime, liquidi e negoziabili come titoli di Borsa. Di fronte a questo innamoramento collettivo per il metallo giallo qualcuno osa ancora mettere in guardia. Venerdì scorso sul Wall Street Journal gli analisti della banca JP Morgan hanno ammonito che «un improvviso cambio di umore degli investitori potrebbe provocare una correzione sostanziale al ribasso, nella quotazione dell´oro». I più ottimisti, invece, contestano la teoria della bolla puntando il dito sul calo della "volatilità": i prezzi dell´oncia aurifera non registrano balzi eccessivi, questo sarebbe un segnale che la maggioranza degli investitori ormai lo compra per conservarlo, non per fare rapide puntate mordi-e-fuggi. Nel senso comune dei mercati si è perfino rovesciato in positivo quello che veniva considerato come il punto debole dell´oro, cioè il fatto che non frutta alcun interesse. E´ vero, osservano gli esperti del World Gold Council, «ma questo ricorda che dietro un lingotto d´oro non c´è alcun debitore». Nel caso dei titoli pubblici, invece, c´è dietro uno Stato che di questi tempi (qualunque esso sia) non è al riparo dai timori di una bancarotta sovrana. L´ultima ondata di acquisti d´oro è soprattutto una conseguenza della "guerra delle monete" che si è scatenata tra le principali potenze economiche mondiali. Ha cominciato Pechino, mantenendo il suo renminbi artificialmente sottovalutato. La banca centrale di Tokyo ha reagito vendendo il suo yen per indebolirlo e aiutare le esportazioni. In America la Fed annunciando iniezioni di liquidità ha di fatto sposato una politica del dollaro debole. Inghilterra, Corea del Sud, Taiwan: tutti stanno cercando di imitare le svalutazioni competitive. Se gran parte delle banche centrali del pianeta vogliono che le loro monete valgano sempre meno, sbarazzarsene per comprare oro è parso a molti investitori una scelta razionale, quasi obbligata.