Simone Paliaga, Libero 30/9/2010, 30 settembre 2010
È GIUSTO CENSURARE IL CÉLINE ANTISEMITA
È bizzarro che un libro si possa conoscere solo attraverso le sue recensioni. Eppure è la sorte di Bagattelle per un massacro, uno dei tre scritti “antisemiti” di Céline, insieme a La scuola di cadaveri e Beaux draps. Qualcosa del libro filtra dalla raccolta delle recensioni che gli sono state dedicate nel 1938, dopo l’uscita dell’opera in Francia. Curata da André Derval e intitolata Accueil critique de Bagatelles pour un massacre (Editions Ecriture, pp. 310, euro 23), la raccolta riunisce le opinioni di alcuni dei più noti intellettuali dell’epoca, di tutte le posizioni politiche.
La stampa ostile mette l’accento sulla disonestà intellettuale dell’autore che cerca di suffragare le sue tesi grazie alle proprie competenze mediche. Pierre Loewel denuncia questo espediente sull’Ordre, quotidiano d’ispirazione monarchica. Spesso si insinua che Céline voglia, dopo vari fallimenti a livello di vendite, solo guadagnare la simpatia dell’elettorato popolare stigmatizzando la comunità ebraica; Victor Segre intitola la sua recensione «Pogrom in quattrocento pagine». Quando si tratta delle critiche favorevoli è possibile scinderle in due gruppi: alcune affrontano il valore letterario dell’opera, tralasciando i contenuti, altre aderiscono alle tesi sostenute. È il caso del critico cinematografico Lucien Rebatet: «Dire che l’abbiamo letto non significa nulla. Noi lo recitiamo, lo declamiamo. E se noi non ne abbiamo fatti vendere almeno cinquecento esemplari significa che non esistiamo».
Léon Daudet sostiene che «Céline sia la replica attuale, dunque pessimista e disperata, dell’ottimista Rabelais. Non esiste altro nella nostra letteratura così simile a un urlo di collera, diffuso dall’eco di una sintassi parlata, muscolosa, gagliarda e nuda come una fanciulla del grande Courbet». Per la valutazione letteraria di Bagattelle, il passaggio obbligatoèla“NouvelleRevueFrançaise”. Marcel Arland si estasia per la virulenza dell’esposizione: «L’eccesso, il gioco, la monomania e la fantasia di certe statistiche (tra le altre sugli ebrei uccisi durante l’ultima guerra) non ne riducono minimamente l’efficacia. Bagattelle raggiunge altezze pari a quelle del Viaggio al termine della notte».
Anche André Gide afferma che «Céline eccelle nell’invettiva. L’ebraismo qui non è che un pretesto, il più triviale, per lanciare i giudizi più sommari, le esagerazioni più enormi. Céline è migliore quando è meno misurato. Parla degli ebrei, in Bagattelle, come in Morte e credito, parlava dei vermi». E continua: «Se si volesse vedere in Bagattelle qualcosa di diverso da un gioco, non resterebbero che passioni banali».
Per Robert Brasillach «Céline prende le mosse, come sempre, dall’invettiva. Vedo tutti gli eccessi di quest’opera. Ma quando si frequenta un leone, non gli si può dare da mangiare spinaci». «Non siamo d’accordo con lui», continua il critico di Action française, «su tutti i punti.
Ma ve lo dico: questo libro enorme, questo libro magnifico, è il primo segnale della “rivolta degli indigeni”. Trovate questa rivolta eccessiva, più istintiva che ragionevole, pericolosa anche? Dopotutto gli indigeni siamo noi».
Più cauto il critico belga Robert Poulet quando riconosce che «Céline arriva a dichiarare che Racine, Cézanne, il Papa e tutti i dignitari della Chiesa, tutti i re di Francia e i critici parigini sono ebrei. Accetta come parole del Vangelo i Protocolli dei savi di Sion». Ammesso ciò «non ci si può difendere conclude Poulet dalla simpatia e dall’ammirazione suscitate dal più possente temperamento letterario e dalla natura più generosa della nostra epoca».