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 2010  settembre 30 Giovedì calendario

ROMA - Niccolò Ghedini è il sarto di fiducia di Silvio Berlusconi, cliente in doppiopetto. Lui cuce

ROMA - Niccolò Ghedini è il sarto di fiducia di Silvio Berlusconi, cliente in doppiopetto. Lui cuce. In sedici anni - tra leggi, disegni di legge, decreti e semplici bozze - ha ricamato una ventina di provvedimenti. Otto hanno visto la luce, e sono leggi dello Stato. La sua virtù è non stancarsi mai. Notte e giorno, a Natale e Ferragosto. C´è sempre. Oggi è un imprevisto giorno di festa; si bighellona in Transatlantico nell´attesa del voto. Manca l´entusiasmo in giro, e anche il morale di Ghedini ne risente. «Anch´io infatti mi deprimo, sento il peso di una fatica che si fa sempre più dura. O pensa che non abbia momenti di fragilità? O non mi chieda: è giusto o sbagliato quello che sto facendo. E´ opportuno o no che gli sia sempre vicino». In effetti pare che non conosca altro domicilio, e non abbia altro in testa che far fuori i giudici. «Io sono il cattivo, il demonio, giusto? Un senza coscienza, uno che lo fa per soldi. Anzitutto non ho mai avuto bisogni di soldi, e la politica non me ne ha portati più di quelli che con le mie capacità sarei riuscito a guadagnare. E si chieda lei invece se davvero non c´è persecuzione, se e quanto i giudici hanno sbagliato con Berlusconi». La sua assomiglia a un´ossessione. «Io voglio bene a quell´uomo e penso sinceramente che sia vittima di azioni ingiuste, alcune volte dissennate della magistratura. E un passettino alla volta stiamo andando avanti, nella direzione di un processo più giusto ed equo». Equo? Ci sono foto, quelle in cui è ritratto in toga con enormi faldoni sottobraccio, in cui Ghedini sembra proprio a un pipistrello. Un uccellaccio che fa da guardia al capo. La belva da sciogliere nell´arena di Annozero: lui contro tutti. Norme e cavilli, e memorie ribaltate. In nome del Capo, per il bene del Capo. «Non mi piace andare lì a rivestire quel ruolo, e non mi piace quel ring dove ti chiamano solo perché vogliono sbranarti. Ci vado, è un mio dovere, ma sento che soffia l´alito dell´odio, e in qualche modo anch´io lo alimento, certo. Con le parole, le rispostacce, i giudizi che devono essere dati subito. E devono essere trancianti. Percepisco la distanza che mi separa da tanta gente, quella che non tifa per la mia squadra. Ma non è una sensazione simpatica, io rifletto e mi chiedo anche: perché mi odiano tanto?». Ah, se lo chiede pure? «Non sono così presuntuoso da non sapere che avrò qualche colpa, né così impassibile da non ritenere che mezza Italia giudica me un diavolo, un cattivo, un orco. Uno al servizio del potente, senza scrupoli, senza mezze misure. Questa dimensione, il cattivo, è difficile da sostenere. Io sono liberale e faccio politica perché penso di contribuire con le mie idee a rendere più civile e degna il nostro Paese». Permetta però che spesso autorizza a pensare che lei bari a volte e più dell´Italia abbia a cuore Lui. Sfacciatamente. «Sono convinto di quello che faccio. E sono persuaso di essere nel giusto. Libero di non credermi. I prezzolati alzano la bandiera a comando. Io no. Io ci credo davvero a quel che dico, per chi mi ha scambiato?». Lei è l´avvocato di fiducia di Berlusconi. E fa politica in ragione di questa condizione. «Ne sono consapevole. Ma non ho mai avuto bisogno di vendere la mia coscienza o le mie idee. Sono un liberale che sta con un liberale. Punto. In famiglia si discute e ci si interroga su una notorietà che ti dipinge nel modo che non vorresti. E fa male accorgersene, fa male discutere di questo». La politica le ha permesso di dare pugnalate. «Alt. Penso di avere uno stile e anche un codice di comportamento. Non ha trovato me nell´isolotto di Santa Lucia, per esempio. Veda quanta varia umanità raccoglie il Transatlantico stamane. Ci sono virtù e ci sono miserie. Debolezze altrui e nostre. Io dico che bisognerebbe fermarsi, mettere un punto. Non travalicare confini che non sono riconducibili più alla lotta politica. Non devo dare insegnamenti agli altri, ma posso sicuramente decidere qual è il mio comportamento. E posso anche scegliere con chi accompagnarmi. Le dico di più: posso cercarmi colui al quale stringere la mano. C´è una ragione di partito che ti fa obbedire a delle scelte. È realpolitik. E poi però esiste la scelta individuale di rifiutare amicizie che non ti convincono, non ti intrigano. Mica devo stringere tutte le mani io? Persino nel mio partito le compagnie me le scelgo io, non si discute». Nel corridoio è iniziata la conta ufficiosa degli entranti e degli uscenti. Il gruppetto dei liberaldemocratici, in tutto tre, si ammutina ai piedi della fontana, nel cortile di Montecitorio. «Non ci ha convinto, non votiamo. E basta pressioni!», esclama Italo Tanoni, il capo degli ammutinati dell´ultima ora. I cinque colleghi di "Io sud", zattera di fortuna nel mare magnum berlusconiano, sono invece vispi, felici. «Grande giornata, grandissimo discorso», dice Elio Belcastro. Meglio cambiare strada, e non pensare. «Arrivederci».