Andrea Malaguti, La Stampa 30/9/2010, 30 settembre 2010
Il pianeta rischia il collasso, una bancarotta della natura senza precedenti. «Un quinto delle 380 mila specie di piante che ci sono nel mondo, il cuore stesso della vita, è a un passo dell’estinzione
Il pianeta rischia il collasso, una bancarotta della natura senza precedenti. «Un quinto delle 380 mila specie di piante che ci sono nel mondo, il cuore stesso della vita, è a un passo dell’estinzione. E a tenere la pistola puntata sulla tempia dell’ecosistema siamo noi stessi». Il direttore dei Royal Botanic Gardens di Kew, Stephen Hopper, scende la scala a chiocciola della Palm House, forse la più bella costruzione di ferro e vetro della Gran Bretagna. Una luce larga buca il cielo compatto di fine settembre. Hopper attraversa i 121 ettari di giardini perdendosi tra 50 mila specie vegetali e sette serre ricche di gigli e orchidee. Decine di scienziati sono al lavoro. «Questo è il mondo che piace a noi». Se uno ci crede, il Paradiso deve essere qualcosa di molto simile. Hopper si siede su una panchina di legno chiaro. Ha una faccia larga, riposante. Apre un dossier che contiene i dati della ricerca fatta in collaborazione con il Museo di Storia Natuale e con l’International Union for the Conservation of the Nature. Legge il rapporto. «La minaccia maggiore arriva dalla conversione di habitat naturali all’uso agricolo che mette a rischio il 33% delle piante. Solo in Brasile il 90% della foresta è stata convertita in campi o insediamenti urbani. Temo che non molti capiscano il rischio che corriamo». Gli uomini si mangiano tutto. E quando non sono gli uomini, magari sono funghi patogeni che attaccano le radici degli alberi. Un processo sempre più vasto. Dall’Europa centrale scompare il bucaneve, il Sud Africa perde le conifere e in Madagascar spariscono 1500 km quadrati di foreste l’anno. Con questo ritmo non resterà una foglia entro il 2067. «Non possiamo guardare le piante scomparire. Sono alla base della vita. Forniscono aria pulita, aria, cibo e carburante. Gli uccelli dipendono dalle piante. E anche noi». Ci sono voluti cinque anni per concludere la ricerca che sarà presentata il 18 ottobre a Nagoya, in Giappone, al 10° summit dell’Onu sulla diversità biologica. Nel 2002, con una formula volutamente generica, i governi si erano impegnati «ad assumere azioni concrete per arrestare la perdità della biodiversità entro il 2020». Che cosa è stato fatto professore? «Niente». Il segretario dell’Onu, Ban Ki moon, scrive che «le conseguenze di questo fallimento, se non sarà rapidamente corretto, saranno gravi». E Ahmed Djoghlaf, segretario della Convenzione, aggiunge: «Se i mercati azionari mondiali avessero avuto le stesse perdite che sta subendo la natura, ci sarebbe il panico». Mentre le 10.127 specie di uccelli, le 5490 di mammiferi e le 6285 di anfibi sono state catalogate, per completare il «Sample Red List Index», gli scienziati hanno selezionato 1500 specie da ognuno dei cinque più importanti gruppi di piante. Un campione. Largo, ma non definitivo. «Ma - dice Hopper - ho appena letto che nel Golfo del Messico sono tornate le foche, che nel 1982 erano state dichiarate estinte. Non tutto è perduto. Dipende da noi». Stampa Articolo