Roberto Giovannini, La Stampa 30/9/2010, 30 settembre 2010
È l’unica legge rinviata al Parlamento da Giorgio Napolitano, e tra poco - una volta arrivato il via libera finale della Camera al nuovo testo sfornato dal Senato ieri, senza ulteriori modifiche - diventerà operativa
È l’unica legge rinviata al Parlamento da Giorgio Napolitano, e tra poco - una volta arrivato il via libera finale della Camera al nuovo testo sfornato dal Senato ieri, senza ulteriori modifiche - diventerà operativa. Parliamo del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, a suo tempo approvato dal Parlamento e stoppato dal Capo dello Stato con una serie di osservazioni sulla costituzionalità del ricorso automatico e obbligatorio allo strumento dell’arbitrato per risolvere - in alternativa alla magistratura del lavoro - le controversie. Per la maggioranza, che ha varato il nuovo testo, la norma risponde pienamente ai rilievi del Quirinale; per l’opposizione e per la Cgil, invece, il Parlamento non ha affatto risposto alle obiezioni del Colle. La riforma cambia moltissimi aspetti fondamentali delle regole sui rapporti tra dipendenti e datori di lavoro. Nel senso della liberalizzazione e della semplificazione, secondo governo e maggioranza, nel senso della deregolamentazione e della riduzione degli strumenti di tutela dei lavoratori secondo opposizione e Cgil. Il testo era stato rinviato alle Camere nel marzo scorso dal presidente della Repubblica poiché, aveva sostanzialmente spiegato Giorgio Napolitano, la riforma del mondo del lavoro va fatta ma con «precise garanzie» ed equilibrio, in particolare nei confronti del contraente più debole e a cominciare proprio dalla questione dell’arbitrato. Vediamo in sintesi i contenuti del provvedimento, con le ultime modifiche introdotte dal Senato. La novità principale - e più contestata - riguarda l’arbitrato per le controversie di lavoro, ovvero la possibilità di ricorrere a un arbitro anziché al giudice. L’arbitrato diventa la via principale, con l’eccezione dei casi di licenziamento. In pratica, finito il periodo di prova (oppure 30 giorni dopo la stipula del contratto) il lavoratore potrà (o meglio dovrà, di fatto) concordare preventivamente con il datore di lavoro il ricorso all’arbitrato per le future controversie (licenziamenti esclusi, che restano affidati al magistrato). L’arbitro giudicherà entro tre mesi «per equità» e non «per legge», dunque probabilmente con più chances a favore del datore di lavoro. Contro il lodo arbitrale si potrà ricorrere al tribunale, che decide in unico grado. Un datore di lavoro che viola la norma sulla trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato, se la caverà con una indennità monetaria tra 2,5 a 12 mensilità. Sarà meno facile poi impugnare i licenziamenti, anche quelli invalidi, cioè in violazione della legge o senza motivazione: oggi ci sono cinque anni, diventano solo 60 giorni più 270 per il deposito dal giudice. Sarà possibile assolvere l’ultimo anno di obbligo di istruzione (cioè dai 15 anni di età) attraverso un contratto di apprendistato in un’azienda. La legge prevede poi una delega al governo per regolamentare la materia dei lavori usuranti, e si allungano di altri due anni i tempi a disposizione dell’Esecutivo per le (eterne incompiute) riforme degli ammortizzatori sociali, dei servizi per l`impiego, degli incentivi . Per la Cisl il ddl «non è perfetto», ma il giudizio è sostanzialmente positivo. Per Giuliano Cazzola, deputato Pdl, si è tenuto conto delle considerazioni di Napolitano, ed «è inspiegabile l’atteggiamento ostile delle opposizioni» sull’introduzione «di forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro che salvaguardano pienamente la libera scelta del lavoratore». La pensa diversamente il leader della Cgil Guglielmo Epifani, secondo cui «la maggioranza e il governo stanno procedendo su una strada non buona. Non si è voluto sentire il Capo dello Stato. L’arbitrato torna ad essere molto vincolante e poi è molto grave l’abbassamento dell’età dell’obbligo, che non c’è in nessuna parte dell’Europa». «Scelte gravi - dice Cesare Damiano, del Pd - continueremo alla Camera la battaglia contro le regole che diminuiscono le tutele del lavoro». 45123