David McNeill, il Fatto Quotidiano 29/9/2010, 29 settembre 2010
BENVENUTI A PYONGYANG
Pyongyang è la capitale simbolo di un esperi-mento stalinista che ha creato un mostro. Come il viso imbalsamato del padre della patria, Kim Il-Sung, che giace in una bara di vetro nel suo mausoleo nel palazzo di Kumsusan, la città di notte mostra un cereo, sinistro pallore che non può nasconderne la lenta decomposizione. Dal quarantesimo piano dell’hotel Yanggakdo, le luci fioche che provengono dagli appartamenti circostanti sono il segno tangibile della carenza di combustibile e del collasso della rete di distribuzione dell’elettricità. Le luci più luminose sono quelle delle strutture architettoniche kitsch, dei murali che inneggiano al regime e delle gigantesche statue di Kim sparse in tutta la città.
Scortati dalle guide,
isolati in un albergo
LE GUIDE trattano i visitatori come anticorpi intorno a un virus, trasportandoli da un posto approvato a un altro, per poi isolarli nell’albergo che abbiamo ribattezzato Alcatraz perchè situato su un’isoletta a sud-est del centro. Hanno già cominciato ad arrivare i delegati in vista del congresso del Partito dei Lavoratori,ilprimodadecenni. È il congresso dell’investitura a “principe ereditario” del terzogenito di Kim Jong-Il. Ma alle nostre guide non scappa nemmeno una parola e non rispondono alle nostre domande sul passaggio di poteri dal padre al figlio. “Non siamo politici, siamo gente qualunque”, dice uno di loro. C’è un solo modo per farsi un’idea della realtà: sgattaiolare fuori dell’albergo all’alba, attraversare il ponte e ignorare gli sguardi perplessi dei nord-coreani che incontriamo per strada. Molti vanno a lavorare a piedi o in bicicletta o con il tram. Sembra un mattino come tutti gli altri, ma colpisce una cosa: l’assenza di iPod, blue jeans, t-shirt o scarpe da ginnastica. I cellulari sono rari come alberi nel Sahara. Giriamo un angolo e ci imbattiamo in un mercatino, primo segno concreto del fatto che anche nella Corea del Nord, ultima corazzata Potemkin del comunismo, il sistema di distribuzione statale è a pezzi. I mercatini come questo sono illegali, non fosse altro perchè mettono a nudo una promessa non mantenuta del dittatore Kim Jong-il: provvedere ai bisogni di tutti. Appena tiro fuori la macchina fotografica per scattare una foto la folla comincia ad urlare e ad indicarmi e alcuni corrono minacciosi nella mia direzione. Un uomo con una divisa sdrucita cerca di impossessarsi delle macchine fotografiche. Tentiamo di scappare, ma ci strappa violentementelecustodie.Cirendiamo conto che non abbiamo scelta se vogliamo cavarcela senza problemi. Le consegniamo. L’uomo con l’improbabile divisa cerca di portarci in quella che ha tutta l’aria di una stazione di polizia. Ci ribelliamo, ma alcuni agenti della polizia locale ci bloccano.
Giornalisti finiti
in prigione
GIORNALISTI STRANIERI sono già stati in prigione in Corea del Nord prima di me. Le cittadine americane Euna Lee e Laura Ling furono accusate di spionaggio per essere state sorprese a curiosare nei pressi della frontiera dove vennero arrestate . Rimasero nelle carceri della Corea del Nord per mesi e furono rimesse in libertà solo dopo una provvidenziale missione diplomatica voluta da Bill Clinton. Per nostra fortuna non siamo americani, ma non possiamo fare a meno di ipotizzare le possibili conseguenze. È evidente che se la notizia della nostra “scappatella” dovesse arrivare ai piani alti della gerarchia nord-coreana verremmo sotto-posti ad un interrogatorio di terzo grado. Siamo arrivati in Corea del Nord “travestiti” da turisti. In albergo ho lasciato il miotesserinodigiornalista,ibiglietti da visita e il laptop con tuttigliarticolichehoscrittosu Kim, compreso un pezzo dal titolo I giorni di scuola di un tiranno. Sel’interafaccendasiconclude con questo manipolo di poliziotti possiamo anche cavarcela con una tirata d’orecchi da parte delle nostre guide. Altrimenti chi può saperlo? Spieghiamo che siamo delegati del Festival cinematografico internazionale di Pyongyang e che siamo usciti dall’albergo solo per fare due passi. Mentre parliamo arriva un’auto dalla quale scende un soldato con in mano le nostre macchine fotografiche recuperate nel mercatino. I poliziotti in evidente difficoltà con la tecnologia delle nostre apparecchiature, ci chiedono di mostrare le foto che abbiamo scattato. La mia memory card non funziona e il mio collega Richard mostra solamente una foto sfocata del mercatino e molte foto di sua figlia di un anno. A vedere la bambina l’atteggiamento dei poliziotti cambia. Gli chiedono quanti anni ha e accettano una sigaretta. Gli agenti più anziani raccontano a gesti la storia di due stranieri alti 1 metro e 80 derubati delle macchine fotografie e dei soldi da un gruppo di coreani molto più bassi di loro. E tutti scoppiano a ridere.
Una lettera di scuse
e niente “scatti”
CI FANNO SALIRE su un furgone e ci riportano in albergo dove ci aspetta la guida, Mr. Cha. Quando gli raccontano l’accaduto la sua espressione tradisce una forte emozione. Teme di dover subire qualche pesante conseguenza. I nostri colleghi – tre scandinavi, un francese e un americano – condividono , pur incolpevoli il nostro destino: comparire dinanzi ad una specie di tribunale presieduto dal direttore dell’agenzia turistica. Con una voce da fumatore il direttore dichiara che il nostro comportamento è una “macchia nera” nella storia delle relazioni tra la Corea del Nord e la Gran Bretagna. Non mi sembra il momento di dirgli che sono irlandese. Dobbiamo rimanere in albergo e scrivere una lettera di scuse “sincera”. Fatto questo, il direttore legge la lettera, si dichiara soddisfatto, ma trattiene le memory cards delle nostre macchine fotografiche. Per fortuna più tardi Mr. Cha ha pietà di noi e ci permette di partecipare alla cerimonia di chiusura delfestivalepoibrindaconnoi. “Sperocheabbiateavutomodo di conoscere meglio la Corea del Nord”, dice. “E spero che torniate. Noi vogliamo che la gente apprezzi e rispetti il nostro Paese”.