Diego Novelli, il Fatto Quotidiano 29/9/2010, 29 settembre 2010
LA STESSA FIAT, 30 ANNI DOPO
La mattina di sabato 27 settembre di trent’anni fa, mi trovavo a un convegno degli amministratori degli enti locali sul lago Maggiore, quando mi telefonò un cronista della Gazzetta del Popolo che mi annunciava la caduta del governo Cossiga. Il lavoro per trovare una via d’uscita dalla aspra vertenza sindacale aperta da alcune settimane alla Fiat, andava improvvisamente in fumo. Due ore dopo l’amico giornalista mi informò che la Fiat aveva sospeso i 15 mila licenziamenti richiesti ai primi di settembre. Passai la domenica al telefono per convincere il maggior numero di dirigenti sindacali della necessità di riprendere un contatto con la massa dei lavoratori che da giorni, dopo la proclamazione di uno sciopero a oltranza, non si presentava più ai cancelli degli stabilimenti. Questa esigenza non venne percepita in quel clima di radicalizzazione della lotta. Ancora una volta la Fiat giocò d’anticipo. Inviò lettere personali per la messa in cassa integrazione di 23 mila dipendenti, scegliendo uno per uno quelli che di fatto venivano estromessi dalla fabbrica, negando la turnazione, decapitando la struttura dei delegati di squadra,direparto,diofficina,costruita con molto impegno dalla Fml (la federazione unitaria dei metalmeccanici, creata dai tre principali sindacati: Cgil, Cisl, Uil).
L’annuncio
a sorpresa
TUTTO ERA INIZIATO, come un fulmine a ciel sereno, il 21 giugno del 1980, quando sulla prima pagina di Repubblica apparve un’intervista di Giuseppe Turani a Umberto Agnelli nella quale annunciava l’imminente richiesta dell’azienda di 15 mila licenziamenti. Quell’intervista era in contraddizione con le indicazioni fornite dalla stessa Fiat nei mesi precedenti. A marzoildottorUmbertoAgnellimi avevachiestodiintercederepresso i sindacati perché ammorbidissero la loro posizione in materia di lavoro straordinario. C’era stata una sensibile ripresa del mercato l’aziendaavevadifficoltàasoddisfare tutte le richieste. “Non consegnareintempounavettura–midisse Agnelli – può significare la perdita definitiva di un cliente, e non possiamo permettercelo”. Come sindaco ritenni doveroso farmi carico di quella sollecitazione. Un mesedopoilcolloquioconUmbertoAgnelli,l’amministratoredelegato Cesare Romiti mi chiese di sollecitare il sindaco di Rivalta a concedere le licenze edilizie necessarie per completare degli ampliamenti realizzati in quel comune dalla Fiat alla fine degli anni Sessanta. Aumento del lavoro straordinario, accompagnato da esigenze di espansionedelleofficine:indicatori tanto significativi da spostare la lancetta del “barometro” della crisi verso il sereno.
Il 2 luglio, invece, Umberto Agnelli confermava l’intenzione della Fiat dilicenziare.Il17dellostessomese ci doveva essere uno sciopero nazionale di tutta la categoria dei metalmeccanici, mentre nei principali stabilimenti Fiat si assisteva a un intensificarsi di licenziamenti motivati dal cosiddetto “assenteismo”. Il 24 luglio l’esecutivo del Coordinamento sindacale Fiat denunciava che si trattava di licenziamenti (e di pressioni per l’auto-licenziamento) che riguardavano lavoratori che avevano superato un certonumerodiassenze.“Inalcuni casi – diceva un documento del Coordinamento – la Fiat ha applicato il metodo di fare accompagnare fuori dai cancelli della fabbrica dalle proprie guardie i lavoratori non più desiderati. Nel computo delle assenze vengono calcolati i ricoveri in ospedali, le convalescenze, tutte le giornate di assenza per malattia, i permessi personali, ecc. In alcuni casi vengono conteggiate anche le assenze per maternità”. Il 28 luglio, alla vigilia delle ferie, la direzione dell’Azienda confermava in un comunicato le sue intenzioni: “Si tratta di adeguare la forza lavorativaallasituazionedelmercato” – preannunciando per settembre “i provvedimenti più opportuni da attuare”.
I 35 giorni che
chiudono un’epoca
I LAVORATORI DELLA FIAT
tornano in fabbrica il 4 settembre. Lostessogiornohaluogounincontro tra sindacati e azienda. Su consigliodelpotentebanchiereEnrico Cuccia, i fratelli Agnelli si defilano, viene avanti lo spavaldo Cesare Romiti, con alcuni suoi stretti collaboratori. L’Azienda pone subito le sue condizioni:“L’accordodeveessere raggiunto entro una settimana, altrimenti la Fiat agirà unilateralmente”. La rottura avviene il 10 settembre, il giorno dopo la Fiat avvia la procedura per 14469 licenziamenti. Hanno così inizio i 35 giorni che si concludono con una pesante sconfittadelmovimentodeilavoratori. Giorni destinati a segnare non soltanto la vita sindacale italiana, ma a determinare quella svolta politica moderata, che caratterizzerà il decennio Ottanta e oltre, sino ai giorninostri.Durantei35giornisono stato due volte ai cancelli di Mirafiori,il19settembreeil6ottobre. ConlaProvinciaelaRegioneseguivamogiornopergiornolavertenza Fiat consapevoli del riflesso che aveva su tutto il Piemonte. Ai vari ministrichehoincontratoinquelle settimane: Foschi (Lavoro), Giorgio La Malfa (Bilancio). Rognoni (Interno), allo stesso Cossiga e al presidente della Repubblica Sandro Pertini, avevo detto che Torino non avrebbe potuto sostenere l’urto di 14 mila licenziamenti. Era come se si fosse deciso di azzerare economicamente una intera città più grande di Cuneo, considerando che ogni lavoratore aveva a carico, mediamente, altre due persone. La mia presenza ai cancelli era stata richiesta dalle organizzazioni sindacali e per la giornata del 6 ottobre si era aggiunta una sollecitazione personale del prefetto Emanuele De Francesco. La tensione eramoltoalta:loscioperoaoltranza si protraeva ormai da 27 giorni, la Fiat aveva appena fatto naufragare una timida ripresa di trattativa al ministero del Lavoro. In città si erano verificati alcuni episodi di teppismo: alcuni individui si erano presentati nei negozi asserendo di essere operai della Fiat senza lavoro e pretendendo di avere la merce senza pagarla. Alla Lancia di Chivasso c’era stato un tentativo di provocazione davanti ai cancelli di cui ero stato informato dal comandante della Legione dei Carabinieri che mi aveva scongiurato di mettere in atto tutti i mezzi utili a chiudere la vertenza. Prima di allontanarsi dal mio ufficio, il colonnello Richero mi disse: “Sindaco,facciaancheLeil’impossibile, prima che sia troppo tardi. C’è chigiocaalpeggio,nonvorreiche ci scappasse il morto”. Quelle parole mi turbarono profondamente. La sollecitazione del Prefetto per la mia presenza ai cancelli di Mirafiori aveva un preciso scopo: si doveva evitare, in quel clima esacerbato, che si formassero dei corteiversoilcentrocittà.Andava impedito ogni scontro con le forze dell’ordine.
Davanti ai cancelli
di Mirafiori
CONTRARIAMENTE alle mie abitudini, quel mattino parlai a lungo, di fronte a una marea di teste di operai parlai a lungo, rispondendo anche agli attacchi personali della destra e del presidente degli industriali torinesi (aveva dichiarato che io non potevopiù“essereconsideratoilsindaco di tutta la città, essendomi schieratodaunaparte”).“Sequalcuno pensa che il sottoscritto – dissiaglioperai–possaesseredalla parte di chi intende gettare sul lastrico migliaia e migliaia di lavoratorisisbaglia!Nonhomaiavuto la pretesa di essere anche il sindaco di quella parte”. Gli operai rimasero appiccicati al palco per oltre due ore. In quei giorni, purtroppo, si bruciavano anni di paziente tessitura tendente a stabilire relazioni nel mondo del lavorodiversedaquelledellastagione di Valletta. Ogni iniziativa veniva letta in due modi opposti. Così fu per la visita di Enrico Berlinguer davanti alla porta 5 di Mirafiori. il 26 settembre, diciassettesimo giorno della vertenza. “Noi – dichiarò Romiti in un libro-intervista di Giampaolo Pansa, nel 1988 – ce la prendemmo anche con il sindaco di Torino, Novelli, che aveva accompagnato Berlinguer ai cancelli, facendo prevalere il suo essere uomo di partito piuttosto che l’essere sindaco della città”. Falso! Quel mattino non ero con Berlinguer, ma già al pomeriggio ascoltai la registrazione del suo breve discorso pronunciato a Mirafiori. Quel nastro, ancora disponibile, smentisce tutti coloro(apartiredaBettinoCraxi) che tentarono di imbastire una grossolana speculazione politica accreditando la tesi secondo cui Berlinguer aveva spinto gli operai in sciopero a occupare gli stabilimenti. A una domanda provocatoria di un esagitato esponente della Fim-Cisl (tale Liberato Norcia), Berlinguer aveva risposto che “le forme di lotta erano competenza dei sindacati e dei lavoratori stessi. Naturalmente il Pci sarebbestatocomunquedallaparte degli operai”.
L’iniziativa (poco)
spontanea dei quadri
POIVENNElamarciadeiquadri Fiat, passata alla storia come quella “dei 40 mila”, contro lo sciopero. La “spontanea” marcia (in veritàfuronomenodi15milasecondo il dato fornito dalla Questura, comunque sempre tanti), fu ideata da Carlo Callieri, capo del personale di Mirafiori in totale sintonia con i massimi dirigenti aziendali, e proposta a Luigi Arisio, una brava persona, rappresentante dei “quadri”, e organizzata dai vertici dei vari stabilimenti con sollecitazioni a domicilio ai dipendenti perché partecipassero. Non ero a Torino quel mattino di martedì 14 ottobre: mi trovavo a Roma,alQuirinale,acolloquioconil presidente della Repubblica. Per-tini voleva essere informato della situazione di Torino e dello stato d’animo degli operai. In mia presenza il vecchio Sandro chiamò al telefono l’Avvocato, “persona molto perbene – mi disse – vedrai che una soluzione la troveremo”. Ci sono voluti 18 anni (il pensionamento di Cesare Romiti e di Carlo Callieri) per conoscere la veritàsuquella“marcia”,attraverso un’intervista dello stesso Callieri, rilasciata ad Aldo Cazzullo, pubblicatasulCorrieredellaSerail1 luglio del 1998, dove l’ex dirigente Fiat si vantava di essere stato lo stratega dell’iniziativa.
Quelloscontroditrentaannifasegnò una svolta non solo per i lavoratori della Fiat. La stagione politica che aveva caratterizzato tutti gli anni Settanta, e che aveva visto milioni di italiani mobilitati per un processo di cambiamento politicoesociale,fubruscamente chiusa con una severa sconfitta del movimento dei lavoratori. La soluzione fu trovata il 16 ottobre. Così venne annunciata dal Tg1: “Alle tre e mezza di questa mattina, dopo sette ore di colloquio e 34 di negoziato, il ministro Foschi, Lama, Carniti e Benvenuto, la FLM e la Fiat hanno firmato il protocollodiaccordoperchiudere la vertenza del complesso torinese”. I 15 mila licenziamenti richiesti a giugno con l’intervista di Umberto Agnelli, venivano tramutati in cassa integrazione per 20 mila lavoratori, senza alcuna turnazione. “L’ordine – secondo una dichiarazione di Cesare Romiti – era ripristinato nella fabbrica e in città”. Come non andare oggi col pensiero a Melfi e Pomigliano? Vero, dottor Marchionne?