La Stampa 29/9/2010, pagine 6, 29 settembre 2010
Intervista a Victor Uckmar sulla casa di Montecarlo - L’affaire della casa di Montecarlo ha proiettato gli italiani in una dimensione sconosciuta, il misterioso mondo delle società off-shore
Intervista a Victor Uckmar sulla casa di Montecarlo - L’affaire della casa di Montecarlo ha proiettato gli italiani in una dimensione sconosciuta, il misterioso mondo delle società off-shore. «Un concetto vago», ammette il professor Victor Uckmar, illustre commercialista italiano. Professore, ci spieghi le regole di questo mondo, inventato apposta per evitare le regole. «Si cominciò a parlare di “paradisi fiscali” nei primi Anni Novanta in sede Ocse. All’epoca era un concetto diverso da quello di oggi: si badava essenzialmente all’aspetto fiscale. L’Ocse puntava il dito sulla concorrenza sleale di alcuni Paesi che pur di attrarre capitali, leciti e non, erano pronti a garantire una tassazione differenziata. Nel tempo, però, il concetto è mutato. Complice anche l’11 settembre, e la preoccupazione dei finanziamenti ai terroristi, esiste ora una lista nera di Stati considerati off-shore perché non garantirebbero lo “scambio di informazioni”. Come si vede questo dello “scambio di informazioni” è un concetto generico. Non è mai stato chiarito quali sono le informazioni che vanno garantite e quali no. Anche le liste sono molto diverse da Paese a Paese. Gli Stati Uniti ormai ricevono informazioni anche da Andorra e dal Liechtenstein e infatti la loro “black list” è ridotta al minimo. In Italia la lista è considerevolmente più vasta. Sono almeno 30 i Paesi che non dialogano con le nostre autorità». A Santa Lucia, però, sovvertendo tutti i pronostici, c’è un ministro che fa rivelazioni sui clienti delle loro società. «Ne sono stupito anch’io. In genere nei Paesi off-shore tengono molto alla riservatezza. Ne va della loro principale ricchezza». Ma è vero che neanche il ministro Rudolph Francis può sapere chi è il titolare della «Printemps» e della «Timara»? «Nei paradisi fiscali esistono in effetti delle società cosiddette “al portatore” che rappresentano la massima garanzia di anonimato: è sufficiente che un fiduciario sia presente all’atto della costituzione della società, poi la società stessa può passare di mano con un semplice passaggio di azioni che non viene registrato in alcun modo. Un po’ come accadeva un tempo con le azioni in Italia, che erano al portatore e non si registrava da nessuna parte il proprietario. Così il segreto è garantito. Al più si può conoscere il nome del soggetto che ha dato vita alla società, in genere un fiduciario che fa questo per mestiere. Poi le società passano di mano e si perde traccia dell’effettivo titolare».