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 2010  settembre 29 Mercoledì calendario

INTERVISTA A CRISTIANA CAPOTONDI

Appeso al chiodo il tulle di Sissi, la romantica impera­trice d’Austria da lei resusci­tata in tivù con grinta moder­na, Cristiana Capotondi sci­vola nel peplo di Elena di Troia. Sempre più indietro nel tempo, con quella bellez­za d’epoca cui donano le spalle nude e i boccoli a corni­ce intorno al viso, la trenten­ne diva di punta del nostro star system ha comprato i di­ritti di Memorie di una cagna (Frassinelli), romanzo d’esordio dell’empolese Francesca Petrisso.«L’ho fat­to per assicurarmi il perso­naggio », dice lei, all’opera per mettere in piedi il biopic mitologico sull’incendiaria greca.Un’altra figura femmi­nile da spogliare d’ogni leg­genda, trasformandola in cre­atura viva e passionale, oltre lo spregio dell’ Iliade , dove la seducente Elena vien detta «faccia di cagna». Poteva, una che mira a Menelao e al­le coste del Peloponneso, re­citare in Bari, Texas con la po­polare Belèn, nel ruolo di ca­merierina d’una pizzeria? «Per carità, nel film prodotto da Antonio Avati ci potevo stare. Ma la mia parte, come me l’aveva presentata il regi­sta Eugenio Cappuccio, era diventata un’altra cosa e ho preferito rinunciare», preci­sa l’interprete romana, sosti­tuita da un attore non noto. Detestabile come starletta ti­vù nel fortunato La Passione­di Carlo Mazzacurati, ora nel­le sale, Cristiana si farà ben­volere incarnando la paraple­gica Katia, il cui balzo im­provviso - dalla sedia a rotel­le al petto d’un carcerato ai­tante, Filippo Nigro - riassu­me lo spirito di Dalla vita in poi (dal 19 novembre) di Gianfrancesco Lazzotti al suo esordio (né manca una scena di sesso, su un tavolac­cio, con l’ergastolano).
Portare sul grande scher­mo personaggi mitologici è un’impresa. Che cosa metterà nella sua Elena di Troia?
«Il tono intimista del ro­manzo, spero e le sue atmo­sfere. Ho voluto garantirmi il personaggio, dopo aver letto il libro della Petrisso, una ra­gazza appena diciannoven­ne che, con grande freschez­za, ripercorre la vera storia della vita di Elena di Troia. Una donna chiamata «ca­gna » soltanto perché affer­mava il suo diritto ad amare chi voleva lei e non chi le im­p­one­va la convenien­za politica».
La politica entra in ogni piega della vita, pare. Le capita di parlarne con sua sorella Chiara, ad­detta stampa del Partito Repubblicano?
«Sì, abbiamo delle discus­sio­ni che spaziano dal piano po­litico a quello di cronaca. Ma è diven­tato molto difficile distin­guere, di volta in volta. Me ne sono resa conto girando, in Francia, L’infiltrato di Giaco­mo Battiato. Nella vicenda, incentrata sulla storia del ter­rorista palestinese Abu Ni­dal, io sono Laura, una stu­dentessa italiana che fre­quenta La Sorbona e che si la­scia coinvolgere nelle fasi di spionaggio. Ci sono di mez­zo i Servizi Segreti francesi… Credo che i Servizi Segreti, co­munque, rivestano un ruolo fondamentale, anche da noi. Ma non capisco quale».
Ha cominciato a lavorare molto presto. Che cosa le manca della sua prima gio­ventù?
«Ho ricordi meravigliosi di giochi spensierati con le ami­che. Facevamo abiti buffi con le tovaglie delle nostre mamme, che si arrabbiava­no regolarmente per tutti quei buchi nella stoffa. Pur la­vorando, di tempo per le ami­cizie ne trovavo sempre».
L’amore passa, l’amicizia resta, si dice. Comun­que, un legame senti­mentale all’orizzonte c’è?
«Sono felicemente sin­gle. Non sono alla ricer­ca di un amore… ma questo non vuol dire che non mi conceda il lusso di fare e di riceve­re coccole».
In Dalla vita in poi la sua Katia vive un amore problemati­co, anche perché co­stretta sulla sedia a ro­telle… «Proprio la difficoltà di vivere un amore “norma­­le”, da parte del personag­gio, m’ha convinto a interpre­tarlo. Veicola un messaggio di speranza la passione con cui la protagonista inizia a scrivere lettere a Danilo, in prigione, quasi fosse un Cyra­no de Bergerac in gonnella. La passione per la scrittura, poi, richiama l’attuale diffi­coltà nei rapporti diretti: ci parliamo tutti a distanza, via e-mail. Io, invece, adoro la carta. Col mio fidanzato stori­co, anni fa, tenevamo un qua­derno sul quale incollare le nostre lettere e i biglietti d’amore più cari».