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 2010  settembre 29 Mercoledì calendario

Il figlio della maestra di paese che inventò l’Ikea all’italiana - La maestra di Telgate non poteva immaginare che il suo terzo figlio, Ezio, un giorno si sarebbe messo a co­struire i banchi per la scuola e i pallottolieri e i seggioloni e i lettini

Il figlio della maestra di paese che inventò l’Ikea all’italiana - La maestra di Telgate non poteva immaginare che il suo terzo figlio, Ezio, un giorno si sarebbe messo a co­struire i banchi per la scuola e i pallottolieri e i seggioloni e i lettini. D’accordo, il nonno già costruiva mobili e lo zio Luigi aveva le chiavi di una fabbrichetta che lavorava meccanicamente il legno ma tutto quello che è accaduto dopo, negli anni bui della guerra e del Paese, pare un miracolo, italiano. Ezio Foppa Pedretti ha fini­to di giocare e di costruire ot­tantatre anni dopo l’inizio di questa storia e favola assie­me. L’albero delle idee perde la sua foglia più grande, cadu­ta lentamente, silenziosa mentre il mondo attorno viag­gia con materie nuove, impro­babili, impreviste. Il legno ap­partiene alla nostra infanzia, apparteneva a quest’uomo con il sorriso genuino, gli oc­chi vispi dietro le lenti neces­sarie per un’età che si poteva leggere all’anagrafe ma che tale non era. La fabbrica di Geppetto era diventata un impero, trecen­to e sette dipendenti, 73,6 mi­lioni di euro di fatturato, filia­li anche in Cina, un mondo di legno con il profumo ancora d’antico, un marchio che da locale era diventato naziona­le­e poi europeo e infine mon­diale. I giocattoli erano diven­tati mobili, arredi per il giardi­no, attrezzi per la casa, eppu­re Ezio Foppa Pedretti sape­va che la storia non poteva es­s­ere cancellata dalle tecnolo­gie avanzate, Bergamo era e Bergamo doveva ancora esse­re, alle voci Grumello del Monte e Bolgare, la famiglia come un presepe, Enrica, Pi­nangela, Anna Maria, Gianluigi, i sei nipoti e l’ulti­ma della dinastia, Matilde, il balocco più prezioso, tutti a lavorare per lo stesso obietti­vo, nello stesso edificio, con lo stesso affetto e impegno professionale. Le fotografie di repertorio, padre, figli, fi­glie, parenti, sembrano di un album fuori del tempo. Da giovane lo chiamavano grè de pier, grano di pepe, era vi­vace di idee, eccitato ed ecci­tante di iniziative, sapeva tra­sformare in balocchi gli scar­ti del legno della fabbrichetta dello zio e del nonno. La guerra gli portò via il po­sto di lavoro, la Fervet finì sot­to le bombe, come Dalmine e la terra intorno, Ezio aveva in tasca il diploma dell’istituto tecnico industriale, la vita avrebbe avuto altri percorsi. Dinanzi alle macerie Ezio de­cise di chiedere aiuto allo zio Luigi, quando a sera gli ope­rai dell’ultimo turno, avreb­bero lasciato la fabbrica, sa­rebbe entrato lui, a giocare con le macchine, a inventare qualcosa.La guerra è finita,ri­sorge l’Italia e nasce la Fabbri­ca di giocattoli dei fratelli Ezio e Tito Foppa Pedretti. Ca­mioncini e trenini, locomoti­ve, intarsiate, lavorate, il le­gno ha un’anima, un profu­mo, diventa il viaggio fantasti­co dei bambini. Gli anni scivo­lano via e la ditta si allarga, cresce, el grè de pier trasmet­te la sua creatività, l’avventu­ra si fa azienda, marchio. Ma arriva la plastica, potrebbe es­sere la resa, la fine. Ma Ezio è Geppetto, il suo Pinocchio non è più una marionetta che gioca con i balocchi, adesso sono mobili, per l’infanzia e poi quelli per i genitori, per gli adulti, arredi per il giardi­no, Foppa Pedretti riempie la casa, la plastica gioca la sua partita diversa, il legno non sopravvive ma vive, reagisce, trova altri sbocchi, l’albero delle idee si gonfia, cresce, of­fre la sua linfa anche allo sport, nasce la sponsorizza­zione al Volley Bergamo, la squadra femminile di palla­volo, 7 scudetti, 6 coppe Ita­lia, 5 supercoppe italiane, 7 coppe dei campioni, 1 chal­lenge cup, il marchio ne rica­va immagine e pubblicità, le ragazze sono brave, le ragaz­ze sono forti, le ragazze sono belle. Ezio si lucida gli occhi, non più locomotive e seggio­loni, la Foppa Pedretti ha fini­to di essere una favola, è un’industria che parla cento lingue. La stanza dell’Humanitas Gavazzeni è vuota di voci e di luce, qualcuno sta cercando un giocattolo di legno.