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 2010  settembre 29 Mercoledì calendario

Tra i motivi delle innumerevoli critiche, revisioni, rinnegamenti e nelle meno frequenti esaltazioni e difese dell’Italia unita ricorrenti per il compimento dei primi centocinquant’anni dell’unità, l’elemento temporale non è mai presente, se non per ricordare, appunto, questo rotondo anniversario

Tra i motivi delle innumerevoli critiche, revisioni, rinnegamenti e nelle meno frequenti esaltazioni e difese dell’Italia unita ricorrenti per il compimento dei primi centocinquant’anni dell’unità, l’elemento temporale non è mai presente, se non per ricordare, appunto, questo rotondo anniversario. Eppure, la cronologia richiederebbe una ben diversa considerazione. La durata di una formazione politica, di un’entità istituzionale, di una realtà sociale e culturale costituisce, infatti, una dimensione di primo piano per un giudizio storico su di essa. Vediamo allora che cosa nel quadro della storia contemporanea rappresenta l’età dell’Italia unita. Poche, a ben vedere, sono le realtà politiche che negli ultimi due o tre secoli hanno avuto la stessa longevità. Esempio massimo, forse, la Germania, che, unitasi nel 1871, appena dopo l’Italia, ha perduto fin dal 1945 quasi una metà del suo territorio di allora, dopo di essere rimasta divisa dal 1949 al 1989 in due Stati. Un caso di non minore importanza è quello dell’Unione Sovietica, fondata nel 1922 e durata un po’ meno di settant’anni, lasciando alla sua erede Russia un territorio e una popolazione nettamente minori di quelli di dopo la seconda guerra mondiale e di quelli storici della Russia zarista. Poco più di settant’anni, dal 1918 al 1992, sono anche durate la Jugoslavia e la Cecoslovacchia, formate con tante aspettative e pretese alla fine della prima guerra mondiale, e ora divise la prima in cinque o sei Stati, la seconda in due. L’Italia presenta, invece, oggi un territorio nazionale ridotto rispetto a quell o del 1 940 ( 31 0. 000 kmq.) per la perdita della Venezia Giulia e di Zara, ma che, tuttavia, è tuttora più esteso (301.000 kmq.) non solo di quello del 1861, ma anche di quello del 1866, dopo l’annessione del Veneto, e del 1870, dopo l’annessione di Roma (286.000 kmq.). Se poi si guarda ai regimi, le cose non cambiano di molto. La Terza Repubblica, una delle più brillanti esperienze politiche europee, durò in Francia settant’anni; la Quarta meno di quindici anni; la Seconda quattro anni; la Prima dodici anni; e solo la Quinta ha pressappoco superato il mezzo secolo. Dal 1792 ad oggi la Francia ha poi trovato il modo di darsi più di una quindicina di costituzioni, con esperienze di regime diverse, fra le quali quelle dei due Napoleoni, il grande (una quindicina di anni) e il piccolo (una ventina di anni). In Germania l’orgogliosissimo e potentissimo Secondo Reich non riuscì a completare il mezzo secolo di vita; la Repubblica di Weimar e il regime nazista durarono un dodici o tredici anni ciascuno; e solo con l’attuale Repubblica Federale si è oltre il mezzo secolo. Nello stesso periodo di tempo altri Paesi europei, come quelli iberici e come quelli dell’ autentico "ventre molle" del continente costituito dalla grande area tra il Mar Baltico e il Mare Egeo, hanno avuto vicende ancora più travagliate (e la Spagna, fra l’altro, con una guerra civile che in tre anni, 1936-1939, fece più di un milione di morti). L’Italia al confronto non sfigura: più di sessant’anni la monarchia liberale sotto la quale si unì nel 1861, una ventina di anni il regime fascista, e altri più di sessant’anni la Repubblica attuale. L’età politica e storica dell’Italia è, insomma, rispettabile. Oggi l’unità sta per tirare le cuoia? Molti, si sa, lo auspicano o lo giudicano inevitabile. Ma la prudenza, che si nutre, se non altro, di memoria e di riflessione storica, induce a una certa perplessità. Anche altri grandi Paesi sono apparsi a volte sull’orlo di divisioni o scissioni fatali, che poi non ci sono state. E anche perciò la considerazione della durata dell’unità italiana è importante. Nella storia (ma non è lo stesso nella vita?) ciò che dura a lungo acquista fatalmente legittimità e validità, e, per lo più, solo violenze e colpi dall’esterno lo pregiudicano. Non è, certo, un’assicurazione assoluta, ma pure ha il suo peso.