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 2010  settembre 26 Domenica calendario

UN MILIARDO (E PIÙ) DI NON CREDENTI

L’ateismo e le sue articolazioni storico-concettuali sono temi caratterizzabili non solo a livello filosofico-speculativo, ma anche sociologico-demografico. E per capire le dimensioni demografiche e socio-antropologiche dell’ateismo e della secolarizzazione a livello internazionale è imprescindibile la lettura dei saggi di Phil Zuckerman, sociologo al Pitzer College. Che ha anche curato per i tipi di Praeger due volumi intitolati Atheism and Secularity, di cui è al momento disponibile solo il primo. I saggi di Zuckermann sono zeppi di dati quantitativi, da cui egli deriva anche interessanti e psico-socio-biologicamente plausibili conclusioni.

Intanto, quanti sono gli atei nel mondo? Ebbene i non credenti, cioè le persone che non credono in un dio personale né in entità ultraterrene, sono tra i 500 e i 750 milioni, e se a questi si aggiungono le persone che sono religiose ma non si sentono parte «di nessuna chiesa», o persone che semplicemente si dichiarano non religiose ma «credono in qualcosa», il numero potrebbe quasi raddoppiare. Un bel risultato considerando che nel 1900 gli atei erano stimati allo 0,2% della popolazione mondiale. Fatto sta che oggi gli atei si collocano, per numerosità, dopo i cristiani, gli islamici e gli induisti.

A livello geografico, i paesi Europei (soprattutto Nord Europa), Giappone, Corea del Sud e Israele hanno le più alte proporzioni di atei e persone non religiose. Per esempio in Svezia parliamo di oltre l’80% della popolazione che non crede in un dio personale (gli atei sono il 23%), mentre in Israele quasi il 40% si dichiara ateo o agnostico, e se si contano i non religiosi si arriva al 73 per cento. Sono i paesi islamici quelli con la più bassa proporzione di atei e non religiosi.

Contrariamente a quello che si sente spesso dire, nel mondo gli atei sono in aumento e anche il processo di secolarizzazione è in espansione: si calcola che 8,5 milioni di persone diventano atei o non religiosi ogni anno. I paesi dove gli atei sono proporzionalmente più numerosi sono quelli economicamente più sviluppati e con i più alti livelli di scolarità e qualità della vita. Non si tratta dunque solo dei pur numerosi paesi che hanno avuto governi la cui azione politica includeva la propaganda contro la religione. I maschi tendono a essere meno religiosi delle femmine, a essere giovani e ad avere un livello elevato di istruzione.

Le ricerche di Zuckermann e altri sociologi mostrano che ateismo e secolarizzazione presentano numerosi tratti positivi, come livelli significativamente più bassi di pregiudizio, di etnocentrismo, di razzismo e di omofobia. Ma anche un supporto maggiore all’eguaglianza femminile. Gli atei allevano i loro figli promuovendo in loro la maturazione di un pensiero indipendente e senza ricorrere a punizioni corporali. A livello sociale, salvo che per i suicidi, gli Stati e le nazioni con un’elevata proporzione di popolazione secolarizzata presentano indici di qualità della vita superiori rispetto a una proporzione più elevata di persone religiose.

Va precisato che Zuckermann non ignora gli studi che sembrano dire cose diverse, ma dimostra che o sono metodologicamente mal impostati, o che mettono l’accento su aspetti diversi. È vero per esempio, che le persone religiose sono meno a rischio per certi disturbi del comportamento, o consumo di alcolici e droghe, nonché infrangono meno le leggi. Ma per quanto riguarda comportamenti più violenti e gli omicidi, gli atei non sono più a rischio dei religiosi di incorrervi.

Un altro luogo comune che gli studi demografici e sociologici sfatano è quello che gli atei non abbiano valori. Ne hanno di molto forti. Sono carenti in quei "valori" che prevalgono tra le persone molto religiose, come il nazionalismo, i pregiudizi socio-sessuali, l’autoritarismo, l’antisemitismo, la chiusura mentale e il dogmatismo. Come ha scritto anche il noto psicologo israeliano Benjamin Beit-Hallahmi, «la tesi che gli atei siano in qualche modo più portati a essere immorali è stata seppellita da tonnellate di studi».

Zuckermann sostiene anche, giustamente, che chiedere alle religioni di aprirsi ai valori secolari è come pretendere che si autocontraddicano. Peraltro la storia delle religioni dimostra che quelle che hanno più successo, nei contesti in cui vi sono le condizioni per proliferare, sono le più integraliste.

Per quanto riguarda il rapporto tra ateismo e cultura scientifica, i dati storici parlano da soli. Agli inizi del XX secolo, James Leuba produsse dati statistici da cui risultava che gli scienziati tendono a non essere religiosi, e che la tendenza appariva in crescita. Tra il primo sondaggio, che effettuò nel 1914 tra i più affermati scienziati statunitensi, e quello che fece nel 1933, la proporzione di chi credeva in un dio personale fu rispettivamente del 32% e del 15 per cento. Alla fine del Novecento la proporzione di scienziati affiliati alla National Academy of Science che credono in un dio personale era il 10% in generale, e il 5% tra i biologi. Anche le inchieste che cercano di distinguere tra teisti, cioè scienziati credenti in un dio personale, e deisti, che credono in una divinità impersonale, non cambiano sostanzialmente il dato.

Comunque, gli atei, non stranamente, continuano a essere la vera ossessione degli integralisti. Diverse indagini condotte negli Stati Uniti convergono nel mostrare che in diversi Stati, soprattutto quelli della cosiddetta Bible Belt, essere atei rappresenta un marchio negativo ed è fonte di discriminazione più che essere mussulmani.

Quando si dice che le religioni stanno tornando, in realtà si confonde la religiosità con il fenomeno socioculturale che le vede trasformarsi in strumento di lotta politica. Quello che purtroppo si augura anche papa Benedetto XVI, come ha ribadito durante la sua visita in Gran Bretagna. Uno fenomeno che riguarda quelle aree dove c’è o torna la povertà economica, e dove c’è o torna l’ignoranza. La religiosità vissuta come fatto privato, stigmatizzata da Benedetto XVI, è un fenomeno culturale molto diverso. Che non solo è compatibile con la laicità, ma a certe condizioni può arricchirla.