VITTORIO ZUCCONII, la Repubblica 28/9/2010, 28 settembre 2010
BUSH, KENNEDY, DE FILIPPO SE I FRATELLI DIVENTANO COLTELLI
Per Freud la spiegazione era sempre la solita: i fratelli competono fra loro fino a odiarsi e ammazzarsi, per conquistare la madre. "Oedipus Rex" regna. Per George Bush era puro complesso d´inferiorità verso il "cocco" dei genitori, Jeb il secchione, lui "l´incosciente" con tendenza alla ciucca. Per superare il complesso, si fece eleggere presidente e il conto dello psichiatra lo stiamo ancora pagando nel mondo. Per Bill Clinton era una colossale seccatura, quel fratello Roger finito in carcere per cocaina. Per i Kennedy fu tragicamente tutto più facile: prima che la rivalità fraterna potesse esplodere pubblicamente e demolire il mito di Camelot, qualcuno uccise prima il grande poi il più giovane, lasciando a Ted il monopolio del feudo politico. Ma che si tratti di grandi famiglie o di umili case, un terzo di coloro che hanno fratelli o sorelle soffrono gli spasmi della gelosia, della animosità, della costante competizione, anche senza farsi fuori a racchettate come le sorelle Williams, battersi a colpi di voti per la Presidenza degli Stati Uniti, come i Bush, o per la guida del partito Laburista inglese, come gli ultimi due campioni dell´eterno "fratelli coltelli" David ed Ed Miliband.
Se il primo atto dei figli "partoriti con dolore" da Eva nel libro dei libri è un noto fratricidio, la sibling rivalry, la rivalità tra fratelli definita così nel 1941 da uno psichiatra americano della Cornell University, David Levy, offre un´immensa casistica nella letteratura, nel teatro, nella storia, nella cronaca e nelle case di quell´82% di esseri umani che hanno almeno un fratello o una sorella. Non ci sono prove, naturalmente, ma è facile pensare che i fratelli minori di personaggi formidabili abbiano subito e pagato cara la sudditanza verso il maggiore. Billy Carter, fratellaccio dell´esemplare Jimmy, ingegnere, ufficiale di Marina arruolato nella élite dei sottomarini nucleari, governatore della Georgia e poi presidente degli interi Usa, si arrese dedicandosi alla sua pompa di benzina nel paesetto natale di Plains e poi con grande trasporto alla birra. La beveva in quantità tali da avere indotto una famosa casa a battezzare una linea della bevanda con il suo nome.
E´ noto lo sfogo di George "Dubya" Bush contro l´algido papà e la sarcastica madre, la Barbarona dall´aureola di capelli bianchi e dalla lingua tagliente che lo giudicava un figlio affettuoso (Edipo regna) ma leggero, quando lui ipotizzò una corsa alla Casa Bianca che la dinastia avrebbe voluto riservare al più raffinato e abile fratello Jeb, è noto. «Voi volete lui, il vostro prediletto» sbottò il futuro Presidente, esternando un complesso confessato a dallo stesso "W" quando imbarazzò l´illustre tavolata ufficiale durante una cena con la Regina Elisabetta ospite del padre sussurrandole all´orecchio: «Io sono la pecora nera della famiglia, come ce ne sono anche nella sua».
Fu una gaffe che i fratelli di Casa Kennedy non avrebbero mai commesso, pur non mancando in famiglia esempi di pecorelle smarrite. Forse la morte eroica, in guerra, del primogenito Joseph junior, aveva eliminato la sempre ingombrante figura del fratello più grande, portatore del nome paterno, appunto Joseph, ma in quella casa sull´Atlantico la gerarchia era ferrea. John era diventato l´erede delle ambizioni paterne e materna, comprese le "protezioni" acquisite dal vecchio Joe, Bobby era il secondo violino, Teddy il bambino di famiglia. Le femmine, in Casa Kennedy, non contavano niente. John e Bobby erano la apparente smentita del luogo comune biblico, il più giovane faceva il fedele e feroce "guardaspalle" del maggiore, dalla sua poltrona di ministro della Giustizia. Consigliere e spesso cervello del "boss" con il quale divideva tutto, i segreti, l´odio per Nixon, la spregiudicatezza e le donne. Fino, vuole l´immortale pettegolezzo, al letto di Marilyn Monroe, fraternamente frequentato.
William Shakespeare, che di natura umana s´intendeva, non mancò di cogliere e cantare il dramma, a volte sanguinoso, della rivalità tra fratelli, specialmente acuta quando dello stesso sesso, e la storia ribolle di trame di "cadetti" contro gli eredi primogeniti. Senza arrivare al Re Lear che aizza le figlie chiedendo loro di descrivere l´amore per il padre o al Riccardo III consumato dall´odio per il fratello Edward, la condizione del minore resta sempre profondamente delicata e, nel caso di famiglie importanti per sangue o per danaro, insopportabile. La silenziosa, dignitosa subordinazione di Umberto Agnelli all´ombra dell´ingombrante fratello Gianni dal quale sarebbe emerso per un breve, tragico passaggio dopo la morte dell´"Avvocato", o le scelte di vita così diverse fra gli eredi, gli Elkan, John il Bravo, Lapo lo Scapestrato rientrano nella dinamica spesso crudele delle famiglie nelle quali le linee di successione si intrecciano, e si avviluppano, con le diverse personalità degli individui.
Nessuno, né per sorelle che giocano a tennis né per dinastie di autori, attori e teatranti che competono per l´attenzione del pubblico, come fu in Italia ma magnifica e incomparabile famiglia dei De Filippo, Edoardo, Peppino e la sorella Titina, ha la formula per eliminare questo tratto della condizione umana, quella rivalità tra fratelli e sorelle che angoscia genitori dimentichi della propria infanzia alle prese con la sorella prepotente, il fratello maggiore bullo o il minore irritante, e sempre, naturalmente, "prediletto" dai genitori. Non doveva averla neppure Freud, la soluzione che lui cercava nel brodo confuso e primordiale del subconscio. I suoi due nipoti maschi, Lucian e Clement, non si rivolsero la parola per tutta la vita dopo che uno accusò l´altro di avere barato durante una corsa. Clement rifiutò addirittura di andare al funerale del fratello. Il regno di Edipo si estende anche sull´oltretomba.