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 2010  settembre 28 Martedì calendario

Arrighi Giovanni

• Milano 7 luglio 1937, Baltimora (Stati Uniti) 18 giugno 2009. Sociologo • «[…] Uno studioso interdisciplinare in grado di padroneggiare storia, economia e sociologia (quest’ultima insegnata a lun go alla Johns Hopkins di Baltimora) […] Laureato alla Bocconi nel ’60, Arrighi insegna subito in Africa (Rhodesia-Zimbabwe, da cui viene espulso per la militanza nel movimento di libera zione, e Tanzania), mettendo a fuoco il rapporto tra colonialismo e decolonizzazione incompiuta nella genesi del sottosviluppo di quei Paesi; quindi — dal ’79 — approda al Centro Fernand Braudel di Binghamton, intitolato al grande storico francese da cui mutua lo sguardo “in lunga durata” dei processi storico-economici. Non a caso nel suo testo-chiave (omaggio a Braudel fin dal titolo: Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, 1996), Arrighi inquadra il recente passaggio dalle transazioni commerciali a quelle finanziarie nell’economia americana come il ripresentarsi di uno “schema” già apparso nella Genova del XV e XVI se colo, nell’Olanda della metà del ’700 e nell’Inghilterra della fine dell’800: in tutti quei momenti e Paesi, cioè, in cui “una crescente massa di capitale monetario si libera dalla sua forma di merce”. Non solo: in questo ciclico gonfiarsi e frangersi di un’onda (in attesa della successiva), Arrighi individua anche l’intrinseca “plasticità” e “flessibilità” dell’accumulazione capitalistica, il suo respiro profondo. Nell’ultimo libro (Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, 2008, completamento di un’ideale trilogia avviata proprio con Il lungo XX secolo e pro seguita con Caos e governo del mondo, scritto a quattro mani con Beverly J. Silver, Bruno Monda dori, 2003), Arrighi allarga ancora la prospettiva. Riprendendo un’originale intuizione di Smith (e coniugandola con il suo marxismo “aperto”), vede infatti nella crisi dell’egemonia americana e nell’emersione delle forze asiatiche (Cina in testa) il prefigurarsi di una “società di mercato globale” più equa e bilanciata. In una simile prognosi (meno apocalittica e perciò di minor appeal rispetto ad altre più get tonate), traspare anche la tonalità della persona, una specie di sorvegliato, ironico illuminismo, che abbiamo potuto ammirare in due memora bili puntate dell’“Infedele” di Gad Lerner. Anti televisivo come pochi, Arrighi accettava in quelle circostanze di dialogare con interlocutori molto meno articolati (e spesso molto più arroganti) senza disunirsi o atteggiarsi in senso snobistico-paternalistico. Semplicemente, contrapponeva argomento ad argomento, costringendo così quegli interlocutori a dare il meglio di se stessi. Se c’è una lezione non accademica del suo magistero, questa è insieme la più alta e la più concreta possibile» (Sandro Modeo, “Corriere della Sera” 23/6/2009).