GIANNI PARRINI, La Stampa 28/9/2010, pagina 22, 28 settembre 2010
Parlo meno inglese ma più robotese - Quale lingua parleremo in futuro? Nessuno sa dirlo con certezza
Parlo meno inglese ma più robotese - Quale lingua parleremo in futuro? Nessuno sa dirlo con certezza. Di sicuro, già da oggi, il Globish, il Cinglish e lo Spanglish - e tutte le forme ibride derivate dall’inglese e accreditate di successi universali - dovranno fare i conti con un nuovo concorrente: il robotese. Nei laboratori olandesi della Eindhoven University of Technology un gruppo di ricercatori ha coniato il «Roila» (Robot interaction language), un linguaggio per mettere in comunicazione uomo e macchine. Il nuovo verbo robotico mescola africano, tedesco e inglese, ha una grammatica semplice e senza irregolarità, include sostantivi, verbi, aggettivi e quattro pronomi (io, tu, lui, lei) e possiede un vocabolario di dimensioni contenute (850 le parole base). La diffusione delle macchine ha spinto i ricercatori a lavorare su un sistema di comunicazione più efficiente e basato sulla comunicazione verbale: così la nuova lingua è caratterizzata da fonemi condivisi dalla maggior parte dei linguaggi umani, ma un algoritmo ne garantisce la diversità di suono, indispensabile per rendere il tutto riproducibile e comprensibile anche dagli automi. Nel prossimo futuro, dunque, si giocherà con i robot, pronunciando frasi come «butij pimo lupuma» (prendi quella bottiglia) e «pito loki jifi bati bama» (felice di conoscerti). Ma il dibattito intorno alle lingue del futuro non si esaurisce certo con il «Roila» e suggerisce di guardare ai cambiamenti che si stanno verificando negli idiomi tradizionali. Di questo si è discusso ieri all’Università di Pisa, città scelta dall’Ue come sede della «Giornata europea delle lingue». Letterati, accademici della Crusca e semiologi (Umberto Eco) hanno discusso delle lingue del Vecchio Continente, soffocate dall’anglofonia e minacciate dal cinese. «Tutte si stanno ibridando - spiega Marcella Bertuccelli, direttrice del “Cli”, il Centro linguistico interdipartimentale dell’ateneo pisano -. Le migrazioni e i viaggi sempre più frequenti favoriscono il contatto e l’assorbimento reciproco di termini e strutture». Cambia soprattutto l’inglese, parlato da 2 miliardi di persone. Il suo successo, infatti, ha un prezzo. «L’inglese standard, per intenderci quello della Regina, perde la patina di nobiltà e si sta trasformando, sia nella pronuncia sia nel lessico». Ma contro il credo di un monoteismo linguistico si schiera l’Europa, fiera delle proprie diversità. «L’Ue ha assunto sul tema un atteggiamento democratico, volto a tutelare le 23 lingue che si parlano nell’Unione al fine di non creare idiomi minoritari», spiega Marcella Bertuccelli. La diversità linguistica così diventa un valore, ma di sicuro ha fatto esplodere le spese per le traduzioni: 1.123 milioni di euro (l’1% del budget totale di Bruxelles). Ma allora che lingua parleranno i cittadini europei del domani? Il Globish? O il «robotese»? Oppure continueranno a fare ognuno di testa propria, rischiando pericolosi fraintendimenti? «Le lingue sono vive e imprevedibili e quindi è difficile fare pronostici - dice la professoressa -. La storia, però, insegna che un idioma si impone anche per la potenza economica e culturale del Paese che lo utilizza e questo ci spinge a guardare con attenzione al cinese, che si sta diffondendo grazie all’ascesa della Cina». Quindi prepariamoci ad accogliere il cosiddetto Cinglish, che fonde il mandarino e la lingua di Shakespeare, logogrammi e caratteri alfabetici. L’incontro-scontro tra questi due linguaggi si annuncia complicato e qualche esempio si è già manifestato durante i Giochi di Pechino del 2008, quando fu necessario tradurre in inglese cartelli stradali, menu e insegne. Gli esiti, a volte, furono disastrosi e in altri casi involontariamente comici: «Annegare con attenzione» (Pericolo annegamento) oppure «Abbiate pietà per le vite verdi sotto i vostri piedi» (Vietato calpestare il giardino) sono tra i casi più famosi di «lost in traslation».