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 2010  settembre 28 Martedì calendario

QUEL LIBERALE AUTENTICO OLTRE GLI STEREOTIPI NAZIONALI

Il conte di Cavour visto dalla Francia? «L’unico grande statista di livello europeo espresso dall’Italia nel XIX secolo», risponde lo storico Gilles Pécout (nella foto), che ha organizzato l’incontro di domani all’École normale supérieure di Parigi con il presidente Napolitano e Jacques Delors. Ma c’è di più: «Cavour — aggiunge Pécout — rappresenta agli occhi dei francesi un’altra Italia rispetto agli stereotipi con cui è raffigurato di solito il vostro Paese. Il suo senso dello Stato, le capacità diplomatiche, il convinto liberalismo, l’orientamento laico, il rifiuto dell’estremismo lo allontanano dai luoghi comuni sui politici italiani».
Pécout, che a marzo pubblicherà una biografia del conte, edita in Italia da Einaudi e in Francia da Fayard, ricorda che i legami di Cavour con il suo Paese furono sempre molto stretti, anche per via delle sue origini familiari: «La nonna paterna, Philippine de Sales , era una nobile francese, discendente del santo Francesco di Sales: una parentela che Cavour amava rammentare rivendicando il suo cattolicesimo, che però non gli impediva di osteggiare il potere temporale della Chiesa. La madre, Adele de Sellon, era una svizzera ginevrina di origine ugonotta e le sue due sorelle avevano sposato degli aristocratici francesi. Proprio per via dei problemi di una zia, rimasta vedova, il giovane Camillo si reca a Parigi nel 1835, a 25 anni».
Qui Cavour, sottolinea Pécout, fa il suo apprendistato politico: «Osserva la vita pubblica sotto la monarchia costituzionale di Luigi Filippo, segue i dibattiti parlamentari, frequenta salotti importanti. Cavour, che viene da un Piemonte molto chiuso e conservatore, guarda alla Francia come a un modello: è il Paese del liberalismo moderato. Per molti versi la linea di governo cavouriana s’ispirerà all’esempio di leader francesi sostenitori del juste milieu, il «giusto mezzo», come François Guizot, Adolphe Thiers, Victor de Broglie. Eredi della rivoluzione francese, ma convinti che adesso le rivoluzioni non si devono più fare».
Certo, Cavour ammira ancor più la Gran Bretagna, se non altro perché la Francia vive poi effettivamente una nuova rivoluzione, quella del 1848, che sfocia nel regime autoritario di Napoleone III. Ma quando diventa capo del governo a Torino, il conte si rivolge di nuovo a Parigi: «Per lo statista Cavour — osserva Pécout — la Francia è l’alleato indispensabile per sconfiggere l’Austria e perseguire l’obiettivo dell’unità nazionale. L’alleanza con Napoleone III non è facile, perché il monarca francese vede nella causa dell’indipendenza italiana lo strumento per affermare la sua influenza nella Penisola. Cavour nel 1858 accetta le condizioni degli accordi Plombières, ma sono convinto che non abbia mai pensato di piegarsi al volere di Napoleone III. Lo si vede bene quando Emilia e Toscana chiedono l’annessione al Piemonte, mentre l’armistizio di Villafranca, firmato da austriaci e francesi, prevede il ritorno sul trono dei sovrani spodestati. Cavour a quel punto è costretto dimettersi, ma alla fine il suo disegno prevale».
Inevitabile guardare al conte con ammirazione. «In Francia come in Italia — conclude Pécout — Garibaldi, tipico eroe romantico, è più popolare di lui. Ma in quanto statista capace di coniugare il richiamo alla nazione e le idee liberali, Cavour resta insuperato. Nessun governante italiano dell’Ottocento o del Novecento, nell’opinione dei francesi, può reggere il confronto».
Antonio Carioti