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 2010  settembre 28 Martedì calendario

QUATTRO SPARI E UN PEDOFILO. I DESTINI DI DUE MADRI

Quando Giuseppe ha affiancato il motorino alla Hyundai di Teresa Buonocore sotto il Ponte dei Francesi e poi ha estratto la pistola, non sapeva che in quel momento stava uccidendo anche un’altra donna, un’altra madre. La sua.
È passata una settimana da quando è successo, e poco tempo dalla soluzione di un delitto che sembra complicato solo a parole. Ma a Napoli c’è sempre una comunanza di destini, una circolarità che lega vicende umane distanti tra loro. Nulla è mai chiuso, nulla si chiude per sempre. Teresa Buonocore muore perché due anni fa aveva denunciato il vicino di casa. Si fidava di quella famiglia, i Perillo, gente che aveva studiato, geometri, medici e dottori. Poi aveva scoperto che sua figlia aveva subito abusi sessuali, consumati sul terrazzino dove ogni tanto i «signori» la invitavano a prendere il caffè e guardare i caseggiati di Portici dall’alto. Aveva denunciato. Aveva fatto di più, si era costituita parte civile, accettando di venire allo scoperto, di metterci la faccia. Lo scorso 9 giugno il vicino di casa era stato condannato a 15 anni di reclusione. Oggi sarebbe scattato il pagamento della provvisionale, quei 50.000 euro che il Tribunale aveva valutato cifra congrua a risarcire il danno morale e fisico subito dalla sua bambina.
L’hanno ammazzata prima, invece. E poco importa, adesso, se l’ordine sia arrivato dal carcere o dai familiari dell’uomo condannato per abusi sessuali, se il movente sia la vendetta oppure i soldi. Quattro colpi di pistola. Tre al torace, uno in faccia, come nei film. A sparare sono stati due amici dei Perillo, due ragazzi di 26 e 21 anni. Il più grande, Alberto Amendola, fa il tatuatore. Il secondo, Giuseppe Avolio, lavorava in una pescheria, viveva con la mamma, Flora Scognamiglio, forse vagheggiava di un padre mai conosciuto. Aveva due anni, quando glielo uccisero, agguato di camorra, regolamento di conti tra clan.
Giuseppe è grande, grosso. Di lui hanno scritto che venerava Al Capone e Raffaele Cutolo. A scorrere la sua pagina Facebook ci si rende conto che era un esaltato. Uno che dice di essere nato a Bogotà e di vivere ad Amsterdam, quando invece il suo presente era nel quartiere più povero di Portici, alla periferia di Napoli. «Sono cresciuto in mezzo a gente dura. E noi dicevamo che si ottiene di più con una parola gentile e una pistola che solo con una parola gentile». Alla voce titoli di studio ha scritto: armi e droga.
Giuseppe è l’anello che congiunge i destini di Teresa e Flora. Ammazza quella che tutti adesso chiamano «mamma coraggio», eterno riconoscimento postumo, e va a dormire. Quando i poliziotti lo portano via, Flora regge per un giorno soltanto. Poi cerca la morte, perché in un attimo ha capito quel che per anni ha cercato di non vedere. Si butta dal balcone al secondo piano. Un volo di una decina di metri, frenato da una tettoia. Allora Flora rifà le scale, si lancia un’altra volta nel vuoto, e nella ripetizione del gesto dimostra una determinazione feroce. La sua vita finisce con quei quattro spari, anche se riesce solo a spaccarsi le gambe.
Teresa e Flora hanno avuto entrambe vite difficili ma i loro destini sono tutt’altro che paralleli. Si incrociano, giusto il tempo di quei quattro spari, nulla più. Nel suo essere sobborgo di Napoli, quasi un dormitorio, Portici contiene storie molto diverse tra loro, come un mazzo di carte mischiato male. Teresa era madre di quattro figli, due per ogni matrimonio fallito. Aveva sempre tirato dritto, prendendo tutto sulle sue spalle. Lavoro d’ufficio, dalle 9 alle 5, prima in uno studio legale poi in un centro di assistenza fiscale. Quando si era resa conto di quel che aveva subìto sua figlia, non aveva perdonato. Non si era messo quell’abito di rassegnazione che troppo spesso a Napoli viene cucito sulle vittime. Elena Coccia, il suo avvocato, famosa per le battaglie in favore dei minori e delle donne, la ricorda così: «Una madre che nella sua vita aveva sofferto e lottato tanto. Una che combatteva. Aveva cercato di capire quel che era successo. Poi aveva chiesto giustizia. Alla luce del sole, con grande dignità».
A Flora Scognamiglio hanno ammazzato il marito tanto tempo fa, quando lei aveva 24 anni. È tornata a Portici subito dopo, si è lasciata avvolgere dalla sua famiglia. Ha avuto un altro figlio. Aveva scelto di scomparire, di delimitare il mondo alle quattro mura di casa, come se questo bastasse, a tenere fuori il male. «Si è fatta in quattro per tirare su questo ragazzo — raccontava a Il Mattino uno degli inquilini del palazzo dove abita la sua famiglia —, e da quando Giuseppe è stato arrestato non riusciva a darsi pace». Ci aveva provato, a spiegare il «suo» Giuseppe, subito dopo l’arresto. «Un bonaccione, un timido » . Poi ha smesso di crederci. È arrivata la vergogna, la certezza che anche per suo figlio non ci sarebbe mai stato perdono. E allora ha aperto la finestra.
Marco Imarisio