Luciano Canfora, Corriere della Sera 28/09/2010, 28 settembre 2010
MA DA CESARE IN POI CON QUELLA SIGLA SI INDICA TUTTA L’ITALIA
La ben nota formula S.P.Q.R., cioè Senatus populusque romanus, che soltanto un triste spirito goliardico traduce sbizzarrendosi sulla lettera P dell’acronimo, viene consuetamente e legittimamente tradotta «il Senato e il popolo romano». Da molto tempo è però ben noto che populus, in particolare in quella formula, significa al tempo stesso il popolo, ma anche l’esercito. E questo è ovvio in generale nella città-stato antica, che si fonda sulla identità cittadino/guerriero, e in particolare per la città-stato Roma. Il sistema elettorale romano, infatti, vedeva il popolo, in quanto soggetto attivo per esempio nelle sue funzioni elettorali, inquadrato nelle centurie: cioè nella struttura militare. Anche ad Atene la formula delle decisioni pubbliche era «hanno deciso il Consiglio e il popolo», ma in questo caso popolo non è necessariamente coincidente con la nozione di esercito in armi. A Roma invece quella identificazione era perfetta. Ma la domanda più pertinente, quando si discorre di quella formula, è: cosa significano esattamente Roma e romano. A partire dalla conclusione della «guerra sociale», cioè dall’88 a.C., e fino alla dittatura cesariana, Roma è l’Italia fino al Po. Con Cesare Roma diventa tutta l’Italia, compresa la Cisalpina. Roma cioè, in quanto concetto giuridico e politico, si identifica — grazie all’estensione della cittadinanza — con l’intera Italia. Roma seppe man mano estendere la cittadinanza anche ben oltre le Alpi: sapeva includere. Una saggezza che forse si sta perdendo.
Luciano Canfora