Morya Longo, Il Sole 24 Ore 28/9/2010, 28 settembre 2010
TRA STATI UNITI E CINA È SCONTRO SUL TRADING
Una decisione «discriminatoria». L’agenzia di rating cinese Dagong, che la settimana scorsa si è vista negare dalle Autorità Usa l’autorizzazione per operare sul mercato americano, non ci sta: «Abbiamo il diritto di entrare negli Stati Uniti come agenzia di rating – si legge in una nota – per tutelare gli interessi del paese creditore degli Usa». E, per difendersi, Dagong ha annunciato di voler avviare un’azione legale contro la Sec. Cina e Stati Uniti, i cui destini sono legati dato che la banca centrale cinese è la maggiore acquirente al mondo di titoli di stato a stelle e strisce, si preparano dunque alla guerra dei rating. È stata proprio Dagong, ieri, a far pesare il ruolo di Pechino nella gestione del debito pubblico Usa: «La Cina, in qualità di maggior creditore degli Usa, deve condividere il potere nel settore del rating sul mercato americano».
La vicenda è iniziata, sotto i migliori auspici, alla vigilia di Natale dell’anno scorso, quando Dagong ha presentato alla Sec statunitense la richiesta di registrazione negli Usa. L’agenzia cinese – che con 500 addetti assegna oggi rating più alti a Brasile, India e Cina rispetto a Stati Uniti e Gran Bretagna – sperava così di mettere piede sul mercato americano. L’obiettivo dei cinesi era duplice: da un lato spezzare l’oligopolio di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch nel valutare l’affidabilità delle obbligazioni, dall’altro tutelare gli interessi del maggior creditore al mondo degli Stati Uniti. Cioè Pechino.
Le Autorità americane hanno avviato l’istruttoria per capire se l’agenzia di rating cinese avesse i requisiti – soprattutto in termini di trasparenza – per operare negli Usa. E – si legge sul documento diramato dalla Sec la scorsa settimana – si sono scontrate contro il muro di gomma delle autorità cinesi, che hanno negato l’autorizzazione a ispezioni in loco e a consegnare tutti i documenti richiesti dalla Sec. Dagong ha cercato di mediare, ma alla fine non c’è stato verso: per la Sec non ha i requisiti per operare negli Usa.
Questo ha scatenato, ieri, la veemente reazione di Dagong: la sua accusa è che dietro cavillo giuridico ci sia l’interesse del governo Usa a tutelare lo status quo (e dunque i rating americani). Dagong – ha affermato l’agenzia cinese di rating in una nota – «non può accettare la rinuncia alla sovranità nazionale come condizione per ottenere la qualifica di società di rating». La decisione della Sec, aggiunge Dagong nella nota, è una mossa «intenzionale» per negarle il diritto di essere ascoltata sui mercati internazionali di rating e per «proteggere il monopolio delle altre tre maggiori agenzie di rating», vale a dire Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch.
Per i cinesi l’iniziativa della Sec «non solo viola il Securities Exchange Act americano e gli standard internazionali, ma causa anche grandi perdite» alla stessa Dagong, che ritiene la sua bocciatura «una contraddizione con il lavoro a livello internazionale per rimodellare il sistema del rating del credito, che è dominato dalle tre grandi e si è dimostrato inaffidabile nella crisi finanziaria in corso». Il governo americano da tempo, conclude Dagong, «continua a sostenere le tre maggiori agenzie di rating nel loro ingresso sul mercato cinese del rating. Queste a oggi coprono due terzi di questo settore in Cina. Come agenzia di rating cinese, Dagong chiede di avere una certificazione sul rating negli Usa in modo adeguato».