Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 28 Martedì calendario

SALVATAGGIO DELLE BANCHE? È LO STATO CHE CI GUADAGNA - I

grandi piani di salvataggio della finanza, scattati negli ultimi due anni da una costa all’altra dell’Atlantico, minacciavano di lasciare in eredità pesanti perdite ai contribuenti. A sorpresa invece, se restano politicamente scottanti, i loro bilanci provvisori mostrano che le casse pubbliche possono forse tirare un sospiro di sollievo: spesso i governi recuperano gli aiuti con un guadagno - anche di miliardi di dollari, euro o sterline. Altre volte i costi appaiono comunque inferiori alle profezie più nefaste.

L’esempio, nel cuore dello sconquasso bancario, è dato dal Tarp, il fondo di soccorso per gli istituti americani. Prossimo alla scadenza formale, il 3 ottobre, rimarrà ostaggio del rientro degli aiuti concessi. Una certezza però si fa strada: equipaggiato con 700 miliardi di dollari e dopo averne elargiti all’apogeo 550, dovrebbe costare non più di 66 miliardi. Ben meno, cioè, dei 350 ipotizzati nel 2009. E neppure la metà della precedente crisi bancaria statunitense, il crollo delle casse di risparmio.

Non basta: gli aiuti espliciti alle banche sono rientrati con profitto - almeno dieci miliardi e il conteggio prosegue - smentendo paure di un «buco» da 76 miliardi. I rischi di perdite sono semmai concentrati altrove, nei fondi in supporto ai mutui e a gruppi non bancari, da Aig e General Motors dove sono in gioco cento miliardi, 50 ciascuno. Solo questa settimana potrebbe essere raggiunto un complesso accordo per la restituzione di 49 miliardi da parte di Aig, fetta dovuta al Tarp dei 182 miliardi di assistenza federale all’assicuratore. Mentre perchè il Tesoro emerga in pareggio da Gm le sue azioni, una volta tornate in Borsa, dovrebbero scalare la vetta record di 134 dollari.

Ma grazie a un cocktail di prestiti restituiti, vendita di opzioni o titoli intascati in cambio degli aiuti e dividendi trimestrali, il governo è riuscito a far fruttare gli «investimenti» nelle banche, beneficiarie anzitutto di 205 miliardi del Capital Purchase Program (Cpp), sezione del Tarp dedita al rafforzamento del capitale. E’ stata la Keefe, Bruyette and Woods a calcolare che proprio qui si è materializzato il guadagno: 10, forse 13 miliardi già prima dell’estate. Abbastanza da generare rendimenti medi del 10% (talvolta del 20%) sull’intervento in 61 colossi che hanno ripagato i soccorsi, da Goldman Sachs a JP Morgan e Wells Fargo. Le cifre potrebbero alzarsi ulteriormente: gli istituti virtuosi sono di recente saliti a 76 e i capitali targati Cpp recuperati (138,4 miliardi) al 67,5 per cento. Il Tarp, intanto, e’ sotto chiave: il Congresso, con la riforma finanziaria, ha vietato nuove iniziative.

«Potrebbe passare alla storia come il miglior programma federale odiato dal pubblico», ha detto Douglas Elliot, analista di Brookings ed ex dirigente di Jp Morgan, conscio della rabbia popolare contro gli aiuti a Wall Street. Tra i singoli protagonisti Goldman, una delle prime banche ad abbandonare il Tarp, ha riconsegnato al Tesoro dieci miliardi e pagato 1,4 miliardi in dividendi e riacquisto di warrant. Se uno dei piu’ protratti e generosi pacchetti di aiuti, i 45 miliardi per Citigroup, sara’ a sua volta «smaltito» con successo, il profitto potrà superare gli otto miliardi. Il Tesoro, che aveva rilevato il 34% della banca, sta collocando gradualmente la sua quota.

I dubbi sugli esiti finali, in realtà, non sono svaniti: ogni bilancio rimane precario, mancano stime sui costi di aiuti indiretti che avrebbero raggiunto le banche. E restano incognite sulle stesse operazioni particolari: nel caso di Citi il Tesoro fatica a cedere le proprie restanti azioni (il 17%) e per evitare tensioni in un mercato debole potrebbe rinunciare al traguardo di fine anno per sbarazzarsi della partecipazione. Altro dramma aperto: le banche regionali tuttora a rischio di crack. Dal 2008 i fallimenti sono stati 279, gli ultimi due venerdì. Gli istituti traballanti sono 829 e Keefe, Bruyette vede in dieci anni svanire quasi 3.000 banche locali su 7.932. Anche fra i 600 istituti (sui 707 totali) tuttora in debito con il Tarp per 65 miliardi aumentano gli inadempienti: sono 120 e hanno mancato di versare quattro miliardi in dividendi. Washington minimizza: «I soldi – afferma il Ministro del Tesoro Tim Geithner – saranno rimborsati».