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 2010  settembre 28 Martedì calendario

LE BANCHE CENTRALI SI TENGONO L’ORO

L’oro ha prezzi altissimi, non si mangia e non stacca cedole, ma gli investitori non paiono intenzionati a vendere, che siano banche centrali, hedge fund, o privati tesaurizzatori. L’esempio viene dal Cbga, acronimo che sta per Central Bank Gold Agreement, il patto firmato nel ’99 e riproposto nel 2004 e nel 2009: in esso la Bce, gli istituti centrali dell’Eurozona e quelli di Svezia e Svizzera si impegnano a non vendere più di 400 tonnellate all’anno delle proprie riserve ufficiali.

Ebbene, secondo i dati preliminari filtrati dal World Gold Council, l’annata conclusa domenica scorsa ha visto una vendita netta di 6,2 tonnellate, il 96% meno dell’anno prima. Se si considerano gli altri paesi, questo è il primo anno dall’88 in cui le riserve auree ufficiali sono aumentate invece di calare. Anche il 2011 promette bene, per l’oro: la Bundesbank non intende cedere più di 6,5 tonnellate e non si attendono cessioni da Svezia, Svizzera, Slovacchia, Slovenia e Irlanda.

Anche l’Italia non metterà in vendita il proprio oro: Palazzo Koch non ha rilasciato commenti ufficiali ma non nasconde l’intenzione di rimanere fedele alla sua storica politica di non cedere le riserve auree. È una scelta di tipo prudenziale, essendo la Banca centrale il prestatore di ultima istanza del sistema creditizio. Consistenti riserve auree rappresentano un baluardo a presidio del sistema finanziario.

Il consuntivo del Cbga è un successo per il World Gold Council, che nel ’99, in quanto espressione dei grandi produttori d’oro, fu il promotore dell’accordo. Il picco di vendite, 497 tonn. nel 2004-05, è alle spalle, ma il merito, più che delle operazioni di lobby, è della incerta e prolungata fase economica e finanziaria. Alla fine degli anni 90 si privilegiava il reddito e le banche centrali cedevano oro per comprare titoli di stato. Oggi si imbocca il percorso inverso.

Paradossalmente, le grandi cessioni di riserve auree si sono concentrate nella seconda metà degli anni 90, quando le quotazioni erano molto basse (la punta minima ventennale fu di 252,80 $/oz, estate ’99), mentre la propensione all’acquisto è cresciuta con le quotazioni, alimentandone la corsa verso l’alto.

L’atteggiamento non è solo delle banche centrali. Anche i piccoli investitori si comportano nello stesso modo. Lo testimonia Roberto Binetti, che attraverso Confinvest è attivo nella compravendita di monete auree: quota 1.300 $ (raggiunta venerdì a New York per il future con scadenza dicembre e ieri per la prima volta anche a Londra) invece di scatenare vendite di realizzo ha dato euforia agli acquisti. «Mancano alternative verso cui indirizzare il denaro – nota Binetti – e quindi la richiesta aumenta». «Quando l’oro era intorno a 1.000 dollari – aggiunge – ero cauto nelle previsioni, mentre oggi, a 1.300, mi sento più ottimista e credo che i rincari proseguiranno ancora».

Un solido sostegno ai preziosi viene dalle valute: ieri mattina il dollaro ha messo a segno un temporaneo recupero rispetto all’euro, complici le vicende irlandesi, ma in serata è rimasto a 1,3475 contro la moneta unica, vicino ai minimi del trimestre. Il grafico dell’oro espresso in valuta europea non lascia dubbi: ieri l’oncia oscillava intorno a 961,498 mentre il record storico è quello del 7 giugno, quando l’oro arrivò a 1.039,995 euro.

La febbre ha contagiato anche l’argento, che ieri a Londra durante la sessione ha toccato 21,61 $/oz e ha visto il suo più noto Etf, iShares Silver Trust, accumulare il quantitativo da primato di 9.613,02 tonnellate. A Berlino, dove è in corso la conferenza della London Bullion Market Association, il pronostico degli associati per l’oro nel settembre 2011 è di 1.406 dollari. Lo scorso anno, con l’oro intorno a quota mille, lo stesso pronostico fatto a Edimburgo diceva 1.181 dollari, cifra che oggi appare fin troppo cauta.