Camillo Langone, Libero 28/9/2010, 28 settembre 2010
VALE PIÙ UNO ZERO DI DIECI SACERDOTI
Io sono un omofobo, un super-omofobo, il campione degli omofobi, e amo Renato Zero e glielo voglio dire adesso che compie sessant’anni. Non ho mai capito se Renato ci era o cifaceva,se ci è o se ci fa, e non ho mai voluto capirlo. Nella mia lingua, che è la lingua italiana, “outing” si dice sputtanamento, e nella mia religione, che è la vera religione e quindi la religione cattolica, in ossequio al Vangelo non si sputtana per non essere sputtanati. Forse mi comporterei così anche se fossi ateo perché il guardonismo mi fa schifo a prescindere: trovo volgarissimo, e irrispettoso della dignità propria ancor prima di quella altrui, interessarsi a chi va a letto con chi. Roba da invidiosi e da bavosi, non da veri uomini. Comunque Renato (scusate se continuo a chiamarlo per nome ma a questo punto mi sto sorcinizzando anch’io) è un artista, un purissimo e raro artista, e in personaggi di questo stampo lo straordinario risiede nell’arte, non nella vita: per quanto possa essere peccaminosa rischia di esserlo meno di quella degli “uomini con quattro figli che la sera si truccano pesante e vanno al Colle Oppio sui tacchi a spillo”, tanto per riprendere una sua intervista. La sua vera dimensione non è il disco o il cd o l’mp3, insomma la musica registrata, bensì il teatro, quel teatro fatto di canzoni, costumi e magia del palcoscenico che da secoli costituisce l’antitesi e la cura al prosaico quotidiano. «E mi trucco perché la vita mia non mi riconosca e vada via» è uno dei suoi versi più belli e l’ho citato ogni volta (e quindi infinite volte) che qualche malevolo voleva inchiodarmi alla mia povera materia. Scrivo questa dichiarazione d’amore riascoltando grazie al computer canzoni in cui ritrovo i brividi di un’epoca e parole quasi profetiche. «Corre l’astronave alla conquista di uno spazio in più, / mentre qui per l’uomo non c’è posto». Correva l’anno 1974 e oggi la Nasa è uscita dall’immaginario collettivo ma quello che importa è la consapevolezza piuttosto precoce di una tecnica che ignora e anzi diminuisce l’umano. “L’evento” contiene molti passaggi che mi fanno venire in mente, non alzate il sopracciglio, l’esistenzialismo cristiano cifra di Comunione e Liberazione e perciò mi piacerebbe vedergli dedicata una mostra al prossimo Meeting (del resto se a Rimini sono riusciti a cavar sangue da una rapa come Camus non vedo come possano avere problemi con un autore così generoso). E andatevi a riascoltare “Il cielo” (“che non è solo una macchia scura”) e poi le coraggiose, massimaliste canzoni degli Anni Novanta, “Ave Maria” da pelle d’oca e “La pace sia con te” molto più di chiesa di tanti canti di chiesa (mi riferisco ovviamente alle sconsacranti schitarrate postconciliari). In questi due testi non c’è un dogma fuori posto, forse perché non ci hanno messo mano Martini né Tettamanzi né tantomeno Vito Mancuso che avrebbe subito cancellato quell’antipatico e ipercattolico riferimento al peccato originale: «Siamo meschini e anche vili». Amo Renato Zero perché non ha mai confuso il travestimento con la blasfemia, non è mica l’orrido Elton John che negli ultimi vent’anni anziché belle canzoni ha prodotto empie dichiarazioni (“Jesus was a gay man”, e non sperate che ve la traduca). Amandolo mi sento in diritto di chiedergli qualcosa in cambio. L’altro giorno ci ha fatto sapere, attraverso Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, che presto farà chiarezza sul suo orientamento sessuale pubblicando una canzone ad hoc. Col cuore in mano lo prego di non farlo, qualunque sia l’orientamento in questione, perché come ha scritto un filosofo francese «quando tutto è esposto alla vista, non c’è più nulla da vedere». E, probabilmente, più nulla da ascoltare.
Cammillo Langone