Anna Sandri, La Stampa 28/9/2010, 28 settembre 2010
ANNA SANDRI
PADOVA
E poi qualcuno, nel silenzio di una notte che si immagina insonne, tormentata e cattiva, non ha più retto. E’ sceso in strada con una bomboletta spray ed è arrivato fino alla fontana della piazza di Salboro, quartiere alle porte di Padova. Pochi minuti sono bastati per urlare la frase sul marmo. «Luisa F. ucciderà sua sorella se non dona il midollo»: quelli conoscevano la vicenda hanno capito, gli altri hanno saputo in fretta perché con quel graffito un dramma privato, che attraversava l’oceano lacerando la vita di due sorelle, è diventato una pubblica storia.
Due donne, lo stesso sangue, un diverso destino. Paola vive in Nuova Zelanda da molti anni. E’ un medico anestesista, è sposata e madre; età intorno ai 50 anni, come la sorella Luisa che invece, insegnante, vive a Padova in un quartiere non lontano da quello dove è comparsa la scritta.
I rapporti, negli anni della lontananza, forse si allentano. Ma il sangue, quello resta sempre lo stesso. E quando, all’inizio dell’estate, a Paola viene diagnosticata una forma molto aggressiva di leucemia, è lei stessa a capire per prima che solo un trapianto di midollo la può salvare. Il suo sos arriva a Padova, dove ha le radici: mentre tutti i parenti, a cominciare proprio dalla sorella, si sottopongono all’esame di compatibilità per la donazione di midollo osseo, gli amici lanciano un gruppo su Facebook, «Salviamo Paola F», allargando all’infinito la ricerca di un donatore.
L’esame tra i consanguinei sembra dare la risposta migliore: Luisa è perfettamente compatibile con Paola. Ma inizia un nuovo dramma. Luisa dice no alla donazione. Non se la sente: ha paura. Paura di soffrire, di arrecare danno alla sua stessa salute che non è perfetta; paura perché anche lei ha una famiglia, alla quale deve rispondere.
C’è - si dice - una telefonata tra le due donne. Paola prova, soprattutto come medico, a spiegare a Laura di cosa si tratta: un prelievo dalla cresta iliaca, in anestesia e senza ricovero, in day hospital. Luisa dice ancora no. Lo scontro si allarga alla famiglia, coinvolge anche gli amici di Paola rimasti in Italia: negano di essere loro gli autori della scritta che ha messo Luisa alla gogna, ammettono di aver fatto pressione in ogni modo per far cambiare idea alla sorella sana.
«La decisione e la disponibilità alla donazione devono essere personali e non devono mai essere forzate», dice Corrado Viafora, della Commissione Bioetica dell’Università di Padova; intanto si indaga per risalire all’autore della scritta, per il quale si ipotizzano i reati di diffamazione e calunnia.
Dalla Nuova Zelanda, con una mail al quotidiano Corriere del Veneto, Paola dice: «Non c’è reato. L’atteggiamento di chiusura di mia sorella ha spinto qualcuno che mi vuole bene a compiere un atto estremo. A Luisa voglio solo far sapere che sono un medico e non metterei mai in pericolo la sua vita. Rispetto la sua decisione, anche se penso che tutti possano capire cosa significa per me sapere che non se la sente di donarmi il midollo che mi farebbe vivere. La sua scelta è frutto di ignoranza, del non sapere».
Ma sembra che si sia accesa una speranza: sarebbe stato trovato un donatore, estraneo alla famiglia. Tra un mese, forse, il trapianto si farà.