Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 26/09/2010, 26 settembre 2010
UNIVERSO DI POESIE
Dal mio piccolo punto di vista vedo l’ universo. Un rettangolino. Il mio terrazzo. È la notte di maggio calda e fresca, una brezza mite spira che mi rinfresca della giornata afosa. L’ universo non credo sia diverso dal nostro mondo... Allora dico: non ci immaginiamo cose tanto strane ma guardiamo a quello che ci sta vicino, lasciamoci ferire dalla sua bellezza e nella sua sapienza riposiamo il cuore». Sono alcuni dei versi di Claudio Damiani, appena pubblicati da Fazi, che domani sera alle 21 saranno letti al Cinema Nuovo Sacher da una folla di appassionati di poesia, da Piera Degli Esposti a Valerio Magrelli, da Nada Malanima a Monica Guerritore, da Francesco Siciliano a Roberta Torre, da Renato Nicolini a Gigliola Cinquetti. I versi di Damiani sembrano creati per essere letti a voce alta. Hanno il ritmo e il respiro ampio della poesia classica, che avvolge il cuore e lo placa. Cantano le piccole gioie della vita, la bellezza della natura, la morte come un ritorno all’ immensità dell’ universo. Dopo un secolo di graffianti sperimentazioni sul linguaggio, questi versi sembrano quasi un miracolo. Come ha fatto Damiani, nato nel 1957, a uscire dalla strada segnata dai poeti della seconda metà del Novecento, come Balestrini e Sanguineti? «Al liceo in realtà ero stato influenzato da questi autori. Avevo cominciato a scrivere come loro. Poi, al terzo anno, ho incontrato Petrarca e mi sono reso conto che è molto più moderno, talmente attuale che lo può capire anche un bambino. Mi sono improvvisamente reso conto quanto gli avanguardisti sperimentali oltre ad avere annoiato e infastidito, non abbiano mai fatto niente di interessante. Perciò mi sono concentrato su Petrarca e Poliziano, Boiardo e Ariosto; i grandissimi di cui generalmente si parla male». Chi ne parla male? «Per esempio Francesco De Sanctis, il quale diceva che Petrarca non era un poeta ma un artista» E Dante? «È grandissimo, però mi ha sempre colpito di più questa stabilizzazione della lingua, questo mare calmo di Petrarca e Ariosto, la lingua incantata che esprime il nostro Rinascimento, la possibilità di cantare calmi e contenere ogni cosa». Quando ha cominciato a scrivere versi? «In tarda adolescenza, cercando di capire qualcosa di me. Invece pian piano ho capito che cos’ è una lingua: una magia, un incantesimo. Niente a che vedere con l’ ideologia. La celebre frase di Adorno, che scrivere poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie, ha fatto abortire generazioni di poeti. Perfino Pasolini ha subito un blocco da superIo ideologico». Si può campare di poesia? «Per campare ho insegnato fino a sei anni fa italiano e storia nelle medie superiori. Dopo 25 anni sono andato fuori di testa, con insonnie terribili e ho chiesto il trasferimento in biblioteca». Pare che siano molti gli insegnanti che a un certo punto non ce la fanno più. «Almeno sei o sette dentro ogni scuola. C’ è chi se ne accorge e chiede aiuto, e chi va avanti senza rendersi conto che fa male a sé e ai ragazzi». Qual è il problema vero della scuola italiana? «Manca il concetto di educazione, che non interessa nessuna riforma, ma è fondamentale. Se non ritroviamo il senso dell’ educazione è inutile fare la scuola. Gli insegnanti impazziscono e i genitori sono sempre più incavolati». Come si fa a ritrovarlo? «Attraverso la lettura, ma prima ancora ripristinando il principio di autorità. Se manca questo, sparisce anche l’ amore per la lettura, che in fondo significa amore per l’ autore. Educazione è portare il ragazzo sui libri, come le pecore su un pascolo di erba buona. Ma se i ragazzi non rispettano l’ insegnante, non riconosceranno nessuna guida».
Lauretta Colonnelli