Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 24/09/2010, 24 settembre 2010
SCATTI SUL FUTURO, TEMIBILE
Un festival di fotografia all’ insegna delle novità, quello che si è inaugurato ieri al Macro Testaccio (piazza Orazio Giustiniani 4) dove resterà aperto fino al 24 ottobre. Intanto le date: negli otto anni precedenti era stato allestito sempre prima dell’ estate. «Con il suo spostamento a settembre - spiega Luca Massimo Barbero, direttore del Macro - diventa il primo appuntamento della stagione internazionale, ospitando anche in anteprima assoluta la nuova produzione del mese europeo della fotografia, "Mutations", nato nel 2004 e comprendente i festival di Parigi, Berlino, Bratislava, Lussemburgo, Mosca, Roma e Vienna». Ed ecco le altre novità: nuova la location della manifestazione, concentrata al Macro Testaccio; nuova la produzione affidata a Zétema Progetto Cultura; nuovo il team di curatori, da Marc Prust per il settore fotografia e editoria, a Valentina Tanni per fotografia e new media, a Paul Wombell per fotografia e arte contemporanea. Promosso da Roma Capitale e sostenuto interamente dalla Fondazione Roma, il festival ha come tema «Futurspectives», ovvero «può la fotografia interpretare il futuro?». Tema che esprime un paradosso. Una volta che una foto è stata scattata, fissa infatti un’ immagine indietro nel tempo e in qualche modo diventa storia. Paradosso che è subito evidente nella sezione curata da Paul Wombell «Bumpy Ride», dove alcuni fotografi realizzano immagini che guardano avanti e non indietro, usando l’ obiettivo per fissare scatti su un futuro possibile e, nella maggior arte dei casi, temibile. Come Ilkka Halso che prevede catastrofi planetarie, dove le rare zone con alberi, ruscelli limpidi e prati muschiosi resisteranno soltanto sotto vetro, protette da serre. O come Ebru Erulku, che fotografa una Londra da day after soffocata da ammassi di fumo squarciati da bagliori sinistri di incendi. O Cédric Delsaux che fa volare i cattivi di «Guerre stellari» tra i grattacieli di Dubai. O Mirko Martin che ritrae una Los Angeles semideserta, con auto rovesciate e qualche passante dall’ aspetto inquietante. O ancora, come Jill Greenberg che raccoglie grandi foto a colori con i visi di bambini che piangono. «Le prime volte che queste foto furono esposte - racconta Wombell - scatenarono un uragano di controversie con accuse di crudeltà ed abusi su minori e di comportamenti immorali, perché per far piangere la Greenberg toglieva loro i lecca-lecca». La fotografa si difese replicando: «Non ho mai fatto niente d’ orribile nella mia vita. Le immagini di bambini in lacrime turbano, sono potenti. C’ è un qualcosa di istintivo che ce li fa proteggere. Ma le persone le stanno prendendo alla lettera, come se le foto fossero la prova che a questi piccoli stanno accadendo cose orribili». Tuttavia, secondo i critici, l’ artista sta suggerendo che ai bambini succederanno presto cose orribili: piangono perché scorgono un mondo sull’ orlo dell’ apocalisse. Meno pessimista O Zhang, che fotografa in mezzo a prati cinesi bambine dei villaggi rurali, colorate come fiori, con lo sguardo deciso verso un futuro da avere finalmente sotto controllo. Fiducioso anche Kader Attia, che ritrae ragazzi algerini seduti in riva al mare a guardare pensosi verso le navi che incrociano all’ orizzonte, quasi a programmare una fuga verso favolosi paesi dove la ricchezza e il benessere sembrano a portata di mano. Un ottimismo un po’ forzato invece quello di Peter Bialobrzeski, che ha fotografato la bidonville alla foce del fiume Pasig, vicino al porto di Manila, dove vivono 70mila persone in case costruite sulla sabbia con gli scarti della città: cartone, compensato, lamiera e ogni genere di stoffa. Oltre a celebrare l’ abilità dei costruttori, il fotografo spera che «un giorno queste case diventeranno il passato». È dedicato a Roma il lavoro di Tod Papageorge, capostipite della scuola di Yale, scelto per ritrarre la capitale in totale libertà. Dalle sue passeggiate tra Pigneto e Mandrione, Garbatella e Prati, tra i parchi e la stazione, i viali periferici e il centro, è nata la visione di una città che quasi non si riconosce. Al primo piano dello stesso edificio, infine, da non perdere la rassegna di Giuliano Matteucci, che ha percorso le savane del centro Africa tra Mali, Ghana e Burkina Faso, per fotografare le chiesette di campagna e le piccole comunità religiose. Propone immagini rigorose e poetiche, dove la natura appare sterminata e i manufatti dell’ uomo essenziali, come i mattoni di fango messi a seccare al sole. Il cimitero di croci di legno piantate nella sabbia evoca una umanità passata sulla terra come un soffio di vento.
Lauretta Colonnelli