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 2010  settembre 27 Lunedì calendario

Aiello Piera

• Partanna (Trapani) 2 luglio 1967. Testimone di giustizia • «[...] la “testimone storica” del giudice Paolo Borsellino [...] vive in località protetta con un altro nome. Per ragioni di sicurezza non può essere fotografàta. “Nella mia nuova vita ho un marito, due figlie e un lavoro, ma nel mio cuore resterò sempre Piera [...] Nel giugno del 1991 mio marito Nicola è stato ucciso dalla mafia. Ho denunciato i suoi killer al giudice Borsellino [...] Mio marito era un malvivente, suo padre era Vito Atria, il boss di Partanna [...] Sono stata costretta a sposarlo [...] Mi sono innamorata di Nicola a 14 anni. Venivo da una famiglia onesta, non sapevo chi fosse in realtà. E quando l’ho scoperto era troppo tardi [...] Avevo 18 anni e lui voleva sposarmi, io invece volevo lasciarlo. Suo padre mi disse che potevo far soffire Nicola quanto mi pareva, ma che per lui ero già sua nuora. Aggiunse: ‘Ricorda che tutti abbiamo una fàmiglia’. Capii che avrebbe fatto del male ai miei genitori [...] Due giorni dopo le nozze mio suocero fu ucciso. Era il 18 novembre 1985 [...] Poi sono rimasta incinta. In casa era la guerra: trovavo sacchetti di cocaina e li buttavo nel water. Mi massacrava di botte. Anche quando ero all’ottavo mese mi ha riempita di calci e pugni [...] Girava armato, mi costringeva a tenere un mitra nella carrozzina di nostra figlia. Una sera, due sicari lo hanno ucciso sotto i miei occhi nella pizzeria che avevo aperto da tre giorni [...] Borsellino parlava con un accento molto marcato e ho pensato che fosse un mafioso. Mi ha rassicurata e io l’ho chiamato onorevole. Mi ha risposto: ‘Con tutto il rispetto per la categoria, io sono solo un sostituto procuratore della Repubblica’. Ho capito che potevo fidarmi [...] Sapevo tutto di Nicola. Conoscevo i suoi amici e avevo annotato su un diario date, nomi, fatti. Borsellino mi ha detto che dovevo dimenticare la Sicilia. Tre giorni dopo, assieme alla mia bimba di tre anni, Vita Maria, ero a Roma. Ero entrata nel programma di protezione [...] All’inizio è stato terribile, ero sola, in una città che non conoscevo. Un giorno è arrivato a casa un signore che voleva darmi un milione e duecentomila lire. L’ho sbattuto fitori e ho telefonato a Borsellino. Si è messo a ridere: mi ha spiegato che quei soldi mi servivano per vivere, perché i miei documenti erano stati ritirati, ero in attesa di un nuovo nome, ma senza quello, senza nuovi documenti, non potevo lavorare [...] All’inizio ero fiduciosa. Soprattutto dopo che, nel novembre del ’91, era arrivata Rita [...] Mia cognata, la sorella di mio manito. Aveva 17 anni quando seguì il mio esempio. La mafia aveva capito che stava per passare dalla parte della giustizia e cercò di ucciderla. Il giorno dopo era da me in località protetta [...] Esploravamo la città, facevamo shopping. Ma durò poco. Il 19 luglio 1992 sentimmo alla tv che Borsellino era stato ucciso. Rita mi guardò e disse: Piera, è finito tutto. Il giorno dopo arrivò un funzionario del Servizio centrale per dirci che molti testimoni stavano ritrattando. Io risposi che per me era un motivo in più per andare avanti. Rita non disse nulla. Una settimana dopo si buttò dal balcone [...] Il giorno prima ero stata trasferita in Sicilia. Sono tornata per riconoscere il corpo. La Chiesa le ha negato i funerali. Adesso Rita sta in una tomba senza nome. Noi lo scriviarno su un foglio e la madre, o qualcun altro, lo strappa via [...] Per tre mesi mi hanno controllata notte e giorno, temevano che mi uccidessi. Poi sono andata in un ex convento di clausura con la mia bimba. Ero senza documenti, uscivo solo per andare al processo [...] Dopo un anno ho cercato una nuova casa. Dovevo pensare a mia figlia. Ma non è stato facile, perché non mi davano il nome di copertura. Per 7 anni ho vissuto come un fantasma. Un giorno sono stata male e mi hanno ricoverata in ospedale. Non avevo il codice fiscale: un carabiniere mi ha fatta passare per sua moglie. Anche mia figlia ha avuto problerni [...] Per iscriverla alla prima elementare ho dovuto supplicare il preside della scuola di registrarla con un altro nome. Gli ho spiegato che ero una testimone di giustizia. Per fortuna era un uomo di cuore” [...]» (Tamara Ferrari, “Vanity fair” 13/12/2007).