Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 26/9/2010, pagina 88, 26 settembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
12 maggio 1974
Dissolubili
Il primo divorzio registrato in Italia risale al 1808, a Napoli, sotto il breve regno di Gioacchino Murat e grazie al codice napoleonico. Poi tutto si chiude fino alla fine del secolo, quando due proposte vengono presentate in Parlamento e bocciate da maggioranze schiaccianti. Con il Concordato la parola “divorzio” scompare dalla scena e fino agli Anni 60 gli italiani devono arrangiarsi. C’è l’annullamento da parte della Chiesa dove un tribunale apposito, la Sacra Rota, vaglia le richieste e dà parere favorevole in casi più o meno accertabili: la non consumazione, il rifiuto di procreare, il dissidio sull’educazione religiosa dei figli. E c’è una serie di Paesi che consentono un secondo matrimonio aggirando il reato di bigamia, come il Messico, la Scozia e si forma una singolare categoria di avvocati detti «divorzisti» cha cavillano attorno a minimi spunti. Ma la legge proposta nel 1968 dai deputati Fortuna e Baslini, un socialista e un liberale, finisce per prevalere sulla accanita opposizione di democristiani e missini.
È una vittoria di breve durata perché subito gli oppositori, capeggiati da Fanfani, ricorrono per la prima volta al referendum, un meccanismo costituzionale che consente soltanto di chiedere l’abrogazione di una legge che già esiste. La Chiesa si mobilita con tutte le notevoli forze di cui dispone, non solo la DC, ma le associazioni parrocchiali, gli enti religiosi, le processioni. Il matrimonio deve restare indissolubile e il divorzio viene dipinto come uno strumento che porterà alla rovina le basi stesse della società e avrà conseguenze traumatiche per i figli delle coppie divorziate. Dalla parte opposta si ribatte che la convivenza obbligata tra coniugi ostili è intollerabile ancor più per i figli che crescono in un’atmosfera di odio, disprezzo, spesso violenza. Grande tribuno divorzista diventa Marco Pannella, che impegna il suo partito radicale in una battaglia in cui si trova coinvolto l’intero Paese. Alla fine il referendum abrogativo non passa: il 40% degli italiani lo approva, ma il 60% lo respinge. La società (la donna) italiana è cambiata ed è molto diversa da come la immaginano nelle sacrestie. Le cose poi, come sempre, si equilibrano e, dopo un primo periodo di euforia separatista, le statistiche mostrano un quadro che non ha nulla di catastrofico e tutta una serie di provvedimenti fanno più o meno funzionare la macchina che regola l’infelicità coniugale. La società non crolla, la famiglia si complica e si sdoppia in tante «famigliastre», ma resta all’incirca quella di sempre, lacrime e dolore, risate e festeggiamenti non cambiano la routine della vita.