PAOLO BRUSORIO, La Stampa 26/9/2010, pagina 45, 26 settembre 2010
Ibra e il tocco magico “Se facciamo il nostro lavoro arriviamo primi” - Quando al primo minuto di recupero Zlatan Ibrahimovic finisce in ginocchio sull’erba di San Siro dopo aver subito un fallo, il pubblico si alza in piedi e si scioglie in un applauso che sa di definitiva accoglienza nella famiglia rossonera
Ibra e il tocco magico “Se facciamo il nostro lavoro arriviamo primi” - Quando al primo minuto di recupero Zlatan Ibrahimovic finisce in ginocchio sull’erba di San Siro dopo aver subito un fallo, il pubblico si alza in piedi e si scioglie in un applauso che sa di definitiva accoglienza nella famiglia rossonera. Se il Milan si scrolla di dosso il Genoa, la paura di finire ancora con la borsa della spesa mezza vuota e va a -2 dall’Inter, lo deve allo svedese e alla ineguagliabile capacità di arpionare palloni che altri, nello specifico Ranocchia e Dainelli, ritengono a torto imprendibili. Zlatan timbra il secondo gol consecutivo in campionato al 4’ della ripresa (più i due in Champions contro l’Auxerre fanno quattro in cinque partite): fino a lì, dei desiderata di Allegri («Giochiamo più su Ibra») ancora non s’è avuta notizia. Lento girovagare quello rossonero: dal cilindro di Ronaldinho non escono conigli nè stelle filanti, anzi, non esce proprio niente. Robinho per correre, corre e tira anche un paio di volte, ma è come invitare a tavola un estraneo, non ne conosci i gusti e non sai dove farlo accomodare. Ibra gioca un primo tempo spocchioso, e fin qui neanche sarebbe una novità, non ne cava nulla, ma il Milan resta ancorato ai suoi richiami. Quantità, ma poca qualità: non per niente il migliore è Gattuso. Boateng è animato da anarchico e improduttivo furore (tre partite consecutive gli mozzano le energie ben presto) e quindi Pirlo rimane troppo solo nel traffico di centrocampo. Così la ragioneria del primo tempo è a favore del Genoa che sceglie paratie mobili per arginare i rossoneri, la variabile è lo spagnolo Chico, uno cresciuto nella Cantera del Barça insieme a Messi e Iniesta, che Preziosi ha scovato nell’Almeria. È lui che parte quasi a uomo su Boateng e poi scala metri verso Eduardo per puntellare la linea, senza disdegnare incursioni nelle linee nemiche. Gasperini miscela gli ingredienti a disposizione e ne ricava una formula che nel primo tempo provoca l’indigestione al Milan: un palo preso da Palacio (tiro cross schiaffeggiato da Abbiati sul palo) e una zuccata di Chico sono il fatturato degli ultimi sei minuti, l’impronta rossoblu sul pomeriggio di San Siro. Nulla di indimenticabile, abbastanza però per tenere in sospeso il giudizio sul Milan e su come Allegri l’abbia fin qui plasmato. Per qualcuno la mano del tecnico ancora non si vede e può anche essere, ma spesso sarà questo il copione: legato alle voglie e all’ispirazione delle figurine rossonere. Ronaldinho e Robinho fanno di umori, posizione e condizione altrettanti incognite; Ibra invece no: lui è la soluzione che spariglia, lo è stato per l’Inter e lo sarà anche per il Milan. La rete che orienta la partita è la sua griffe, andrà sempre di moda. Se poi, come gli è capitato nel primo tempo, decide pure di scendere in coperta per la corvée, allora Allegri avrà tempo per lavorare sul resto dell’impianto. «Palla a Ibra» è schema unico e anche capace di imprigionare, ma è azzeccato e vincente. Lo svedese finisce sfiancato e provato, conati di vomito, poi l’ammissione: «Sono stanco, peso 98 chili è normale che faccia tanta fatica. Ma senza sacrifici non si va da nessuna parte». È il primo a non sentirsi del tutto a posto e nel posto giusto («non sono ancora al 100% dentro questa squadra, ma i passi avanti ci sono»), poi la dichiarazione di intenti: «Se facciamo il nostro lavoro, arriviamo primi»: il messaggio all’Inter è chiaro, per oggi il lavoro sporco l’ha fatto ancora lui. Ai rossoneri può bastare per battere il Genoa, che si sfarina e finisce con Dainelli e Ranocchia inutilmente in attacco, ma non ancora per camminare sulle proprie gambe. Per Allegri il Milan «è stato oltremodo criticato, con questa vittoria non ci siamo ritrovati perché non ci eravamo mai persi»: dal 29 agosto il Milan non vinceva in campionato, il suo tecnico ha il giusto pudore per non esaltarsi. «Palla a Ibra» non può essere l’unica soluzione. Non l’hanno chiamato solo per questo e lui è il primo a saperlo.