LUCA UBALDESCHI, La Stampa 26/9/2010, pagina 25, 26 settembre 2010
“Invento nuove piante per il giardino perfetto” - Sono un vivaista», dice di sé in un ottimo italiano e con un sorriso che illumina il viso abbronzato dalle giornate trascorse a lavorare nei giardini della Provenza
“Invento nuove piante per il giardino perfetto” - Sono un vivaista», dice di sé in un ottimo italiano e con un sorriso che illumina il viso abbronzato dalle giornate trascorse a lavorare nei giardini della Provenza. Ma è una definizione che sta terribilmente stretta a Jean-Marie Rey, francese sessantenne, che ha innovato la tradizione dei giardini mediterranei conquistando fama internazionale all’insegna di una filosofia precisa: creare nuove specie di piante capaci di adattarsi alla sempre maggiore aridità del clima mediterraneo. La sua famiglia si occupa di vivai dal 1889 e dal padre ha ereditato la passione per la raccolta di tipi diversi di piante. Nei 220 ettari su cui si estendono oggi i suoi vivai (e dai quali arriva il più lungo filare di cipressi esistente al mondo, da Salon de Provence ad Arles) raccoglie circa 4200 varietà: 250 di ulivi e altrettante di oleandri, 100 di fichi, ma anche 25 di rosmarino, alcune delle quali scovate in Algeria e Marocco. Monsieur Rey, perché la varietà è così importante nel suo lavoro? «Perché è come poter disporre di una immensa banca dati. Se la collezione è ampia, posso scegliere la pianta che meglio si può adattare all’ambiente nel quale dobbiamo inserirla». Ma lei non si limita a catalogare le piante, ne crea di nuove, vero? «Sì, ma sempre con l’obiettivo di ottenere una specie che sia - come dire? - in sintonia con il giardino che deve accoglierla. La natura è più forte dell’uomo, tocca quindi a noi adattarci. Il mio obiettivo finale è proprio questo: creare una simbiosi tra uomo e piante, un ponte con la natura, che sia spontaneo, non artificiale. Sono concetti che cerco di applicare da oltre trent’anni e che ho imparato a conoscere anche osservando da ragazzo il lavoro di Paolo Pejrone. E la creazione di nuove specie è soltanto la tappa conclusiva di questo percorso». Prima che cosa viene? «Si comincia con l’osservazione, è fondamentale. Andare in giro, trovare la materia prima, salvare magari gli ultimi esemplari di una specie. Le confesso che io mi sento un “ladro della Natura”. Porto sempre con me un coltello e un sacchetto. Vado nei boschi, cammino e quando trovo qualche erba o pianta interessante la prendo per studiarla. Sempre con delicatezza, ovvio, rispettando la natura». E il momento successivo che cosa prevede? «La riflessione. Come un medico che dopo aver riconosciuto una malattia deve trovare la cura migliore, io devo studiare quali piante scegliere. Ricordando che crescono e si modificano. Ma l’importante è non cadere più negli errori del passato, quando si piantavano gli stessi alberi dalla Norvegia alla Sicilia. Erano giardini artificiali, assurdi. Invece il clima che cambia ci impone di rispettare le differenze ambientali». Da qui, perciò, la necessità di creare nuove specie che contrastino a esempio il clima più arido del Mediterraneo? «Esatto, facendo incroci si possono adattare le piante indigene a condizioni difficili. Vale per il caldo, ma anche per l’inquinamento. Ha mai pensato quanto può essere difficile trovare una pianta che viva in una circonvallazione? Eppure, studiando e ibridando possiamo riuscirci». Prima ha fatto un parallelo con i medici. Si sente anche lei un dottore, dal momento che ha sviluppato la ricerca su cipressi resistenti al cancro? «Quello è stato un lavoro condotto con l’ente statale di ricerche in Francia e con la collaborazione di studiosi di diversi Paesi europei, anche italiani per la zona di Bolgheri. Sono progetti che richiedono pazienza e tempi lunghi, spesso troppo per i politici che devono finanziarli. D’altronde, gli uomini ragionano su una vita media di 80 anni, un pino ne vive 500, un ulivo può arrivare a 2000». Fra le tante di cui si occupa, qual è la sua pianta preferita? «Proprio l’ulivo, perché è simbolo di resistenza e perché conserva le radici del nostro ambiente mediterraneo. La memoria, le tracce della nostra storia, sono fondamentali, sono la base con cui creare le nuove specie». Da scienziato delle piante, quale risultato a lungo termine spera di raggiungere? «Proteggere il patrimonio di memoria che sta nelle nostre piante creando una collezione completa, a disposizione di tutti». Una sorta di Arca delle piante? «Direi un osservatorio. Oggi ci sono quelli che tutelano i parchi o i litorali. Ecco, vorrei un ente così anche per le nostre piante, oggi non le difendiamo abbastanza».