GIOVANNI CERRUTI, PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 26/9/2010, pagina 14, 26 settembre 2010
Addio pranzo della domenica (2 articoli) - Niente pasta al forno da nonna Silvia, per la tavolata da dieci appuntamento a domenica prossima
Addio pranzo della domenica (2 articoli) - Niente pasta al forno da nonna Silvia, per la tavolata da dieci appuntamento a domenica prossima. «Ci tocca fare come i calciatori: robusta colazione a metà mattina e poi via, allo stadio», dice Paolo Lucchi, 46 anni tra una settimana, che del Cesena è gran tifoso e di Cesena è il sindaco pd. Perché questa partita all’ora della pasta al forno «interrompe le abitudini, guasta una tradizione, ci costringe a cambiare». E non solo a tavola. «Ho dovuto spostare l’orario di un matrimonio, anticipato di un’ora alle 11,30». Anche lo sposo è un tifoso, e il viaggio di nozze deve cominciare in tribuna, con Cesena-Napoli. Nonna Silvia non se la prende più di tanto. «Sa bene che è stato Marzio, il papà che non c’è più, a portarci per la prima volta allo stadio», racconta il sindaco. Lui e i fratelli Gianluca e Marco. E loro hanno portato mogli e figli. Risultato, per una domenica niente piatti in tavola. «Ci perdiamo il pranzo, pazienza. L’importante è che non perda il Cesena. E che questa partita a mezzogiorno resti un’eccezione». Già, perché il sindaco può già immaginare lamentele e danni. «Penso ai ristoranti della città. Con la partita alle tre del pomeriggio erano sempre pieni, per loro questa domenica sarà un pessimo affare». Maurizio Salvigni, il maître del ristorante Casali, per questa domenica chiude la cucina. «Perché sono un ultrà e la partita non me la perdo - dice -. E perché di clienti, arbitri o giornalisti o famiglie, so che non ne verrà nemmeno uno». A parte lo stadio, una città chiusa per partita. «O al Manuzzi a tifare o davanti alla tv - prevede Andrea Agostini, uno dei grandi amici del milanista Marco Pantani, ora responsabile della comunicazione del Cesena - Siamo meno di 100 mila abitanti, lo stadio ha 23 mila posti e 11 mila sono gli abbonati. Il calcolo è semplice, in ogni famiglia c’è almeno un tifoso». In quella di nonna Silvia almeno nove. Non solo pranzi che saltano. Alle 11,30 in Cattedrale c’è la messa, la più seguita, la più affollata. Monsignor Antonio Lanfranchi, il Vescovo, è preoccupato. E’ tifoso anche lui, dai giocatori del Cesena ha avuto in regalo la maglia con il numero 10, e ogni anno benedice la squadra. «Per la partita questo è l’orario più infelice - spiega -. La domenica dovrebbe essere il giorno del Signore, della messa e della famiglia, e invece siamo tutti vittime di questa frammentazione che nasce da motivi economici. Ci tolgono anche il fascino della domenica pomeriggio». E magari pure i fedeli dalla messa in Cattedrale. «Addio pranzo della domenica», titola «Il Bianconero», il settimanale della tifoseria. E a Cesena si sono organizzati. Spuntini allo stadio inventati da Francesco Amadori, uno dei più noti killer di polli in batteria. «Diamo il petto di pollo nei coni di carta», spiega Francesca, la nipote che sarà alla partita. Lui, il signor Amadori della pubblicità in tv, 78 anni, non ha tempo per la partita. «Mi occupo di polli, non di fuoriclasse», dice. Ogni domenica se ne vanno in forno almeno un milione e mezzo dei suoi pennuti. «Grazie all’orario della partita se ne salveranno parecchi, ma non sono sicuro che arriveranno a sera...». Anche per Amadori niente pranzo in famiglia. «Per me resta una tradizione, e mi spiace». Figli e nipoti salutano e andranno in tribuna. «Ci spostiamo tutti allo stadio -dice Francesca- Il bello di Cesena e del Cesena è che si va in famiglia». Il nonno resta a casa con i polli. «Per la verità non sono mai andato al Manuzzi, forse qui a Cesena sono l’unico non tifoso. Però, come tutti, sono orgoglioso della nostra squadra in serie A. E se mettono la partita a mezzogiorno vorrà dire che il pollo o lo mangiano prima, o dopo, o durante. E per una volta si può anche saltare il pranzo, dài: per la serie A qualche pollo resti pure in frigorifero». Solo chi non va allo stadio rimpiange la tavolata della domenica. «La pasta al forno o i nidi di rondine al ragù possono aspettare - come dice il sindaco Lucchi -, prima viene il Cesena». Che da queste parti dev’essere una malattia da contagio. «Lo stadio è sempre stato pieno, anche quando eravamo con il mal di fegato in serie C», racconta Salvigni, il maître. Bandiere bianconere dalle finestre, la foto della squadra sulle vetrine, la Cattedrale che magari sarà meno piena, i ristoranti vuoti, il cartoccino con il pollo in tribuna. «Però il pranzo in famiglia era un momento di festa...», si tormenta il vescovo Lanfranchi. Per una domenica Nonna Silvia si riposa e la tovaglia resterà nel cassettone. Figli e nipoti sono in agitazione da ieri: che si prende per colazione, si fa lo stesso un salto dalla nonna con i pasticcini? «Mano male che questo cambio di orario e di abitudini non dovrebbe avere conseguenze sul traffico», dice Paolo Lucchi. Almeno questo. Anche perché dovrà litigare con i minuti: c’è il matrimonio del tifoso, e c’è da sperare che la sposa arrivi davvero puntuale, alle 11,30. Un’ora più tardi comincia Cesena-Napoli. Figli, fratelli, nipoti e sindaco possono rinunciare alla pasta al forno. Alla partita no. GIOVANNI CERRUTI *** La tavola era vuota, con il centrino ricamato in mezzo e il vaso di porcellana sopra. Nicolino portava la sedia alla finestra, si metteva sulle ginocchia e guardava le bandiere che passavano in via Leopardi e la gente che andava allo stadio. Papà Gennaro era fuori con gli amici e prendeva l’aperitivo da Valentino. Le donne erano in cucina, mamma Rosaria, nonna Pina, anche la Giusi, sua sorella, e qualche volta le zie. Poi rientrava papà, veniva in sala e accendeva la radio muovendo piano una manopola. Faceva delle scariche cercando il canale. Il rito cominciava così. Gennaro Mennitti si sedeva sulla poltrona sfogliando il giornale, mentre aspettava sempre le stesse parole: «Stock 84 e Vecchia Romagna Etichetta nera vi invitano ad ascoltare...». Ogni tanto alzava gli occhi e diceva «Nicolino stai attento». Venivano le donne e preparavano la tavola. Nicolino non le vedeva. Le sentiva dietro di sé, sentiva le mani che frusciavano sulla tovaglia, le posate a mucchi e poi divise, i bicchieri, i piatti. Lui guardava fuori le bandiere. Quando nonna Pina urlava «lascia stare il pane» era quasi l’ora. Mamma Rosaria entrava con il primo dei 15 antipasti dicendo «a tavola» e Eddi, suo fratello, correva come se volesse rubargli il posto. Erano seduti e parlavano tutti. Ma era una bella sensazione. Poi Enrico Ameri leggeva alla radio le formazioni e papà diceva Maronna mia. Comiciava il pranzo della domenica. Finiva qualche ora dopo, quando Gennaro guardava 90° minuto alla tv e si reggeva il capo con il gomito sul tavolo, gli occhi un po’ socchiusi. A quell’ora, zì Checchina, a Portici, aveva appena sparecchiato lasciando solo le ciocere in tavola, delle paste di noccioline e ceci cotti. Tirava fuori le carte e le dava a Peppino, suo marito. Negli anni qualcosa è cambiato. Non c’è più 90° minuto. I gol li vedi subito. Adesso c’è Sky. Però è rimasto lo stesso pranzo attorno alla partita. Come dice Nicolino, «è questo che uccide l’anticipo delle 12 e 30. Il sapore di quel pranzo». Trent’anni dopo ci sono ancora tutti e qualcuno di più. La famiglia Mennitti, Fuorigrotta, proprio davanti allo stadio, s’è allargata con i fidanzati: Fiorella è la fidanzata di Nicolino, Rosalinda quella di Eddi, e Roberto di Giusi. Poi c’è Ciro, un barboncino che salta quando il Napoli segna. Nonna Pina è diventata un po’ sorda. Nicolino ha 32 anni. Alla domenica si sveglia alle 9,30, poi esce con gli amici per l’aperitivo, come faceva papà. Vanno alla Snai di Fuorigrotta che adesso è di Giuseppe Bruscolotti, il capitano del Napoli di Maradona. In fondo, è come fermare il tempo. Arriva a casa sfogliando il giornale, per aspettare la partita e l’inizio del pranzo. A Portici, famiglia Esposito, zì Checchina è in piedi dalle 6 e 30 per preparare ‘o raù. Dice che «non manca mai un cucchiaio di ‘nzogna». E poi la passata di pomodori. Un tempo zì Checchina ce l’aveva conservata in bottiglie. Ora i pelati in scatola San Marzano li passa al setaccio la sera prima. Sei ore di cottura. Una tempesta di aromi antichi. Ma il pranzo della domenica è questo: un luogo della memoria, dove è come se restassero i profumi di un tempo, le stesse facce, e le emozioni. Anche la voce di Enrico Ameri, la raucedine di Ciotti, qualcuno che dice «clamoroso al Cibali». Quando segnava il Napoli, ricorda Nicolino, sentivi le stesse urla che facevi tu venire dalle case vicine, perché il pranzo della domenica era un rito comune. Sembra una cretinata, ma con l’anticipo tutto questo è destinato a morire. «Manca il cuore», dice Nicolino: tutto ruotava attorno alla partita, l’ora di sedersi a tavola e quella di alzarsi, e le parole, i racconti, e il silenzio quando attaccava il Napoli. Anche a zì Checchina dispiace perché era bello far festa insieme così. Nella tavola le voci si incrociano come i piatti, la carne e l’insalata con i finocchi, la parmigiana di melanzane e i peperoni fritti - arrusciatielli - di zì Checchina. Zì Checchina dice che la domenica è il suo trionfo: «Li vedo che ridono e parlano. Penso: ho lavorato bene. Stanno tutti qua. A Messa purtroppo ci sono solo io con Peppino. Vedo le loro facce, li sento parlare e so che continuerò a vivere per sempre. Soffro assieme a loro per il Napoli. Del calcio non me ne importa niente. Ma se soffrono loro, soffro anch’io». Stanno un po’ zitti quando arriva la frittura, ‘o panzarotto, e vengono ‘e palle ‘e riso e i carciofi a fettine. Parlano tutti insieme e proprio come allora c’è sempre Peppino che dice ssshhh, quando c’è un’azione pericolosa del Napoli. Anche se quel che conta adesso è guardare, non sentire. A casa di Nicolino c’è la tv al posto della radio. Se va alla finestra non sente più il fruscio che faceva papà cercando i canali. Però, sotto, ci sono le stesse bandiere, e ti prende un’emozione strana: la gioia dell’attesa, l’idea che qualcosa possa succedere, la speranza di vincere. E’ il sabato del villaggio. Perché ha ragione zì Checchina: «Lo sa perchè i piatti sono sempre gli stessi? Perché ti hanno dato un’emozione e vuoi riprovarla. E’ l’emozione che fa restare le cose anche quando non ci sono più. Solo l’emozione». PIERANGELO SAPEGNO