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 2010  settembre 27 Lunedì calendario

QUASI MEZZA ITALIA SENZA REGOLE: DOVE E PERCHE’ SI NASCE IN SERIE B


A SENTIRE parlare i ginecologi, dopo gli ultimi fatti in sala parto, si scopre che, in questo Paese, fin dal momento in cui vieni al mondo, rischi di finire nel “girone” di serie A o nel “girone” di serie B. Rischi, insomma, di nascere in un posto super-attrezzato per numero di uomini e di macchine o in un posto dove la disorganizzazione può far finire in tragedia anche l’evento più naturale della vita. Sono proprio loro che parlano di A e B senza mezzi termini.
Come se fosse un fato, cinicamente burocratico, a decidere le condizioni nelle quali vedere per la prima volta la luce. Nonostante questo, il tasso di mortalità alla nascita da noi, fortunatamente, è basso: 3,9 ogni 1000 nati vivi ma esiste una discreta differenza regionale da Nord a Sud che varia da 2 a 7 volte di più rispetto alla media nazionale. «Dobbiamo ammettere che ci sono tante Italie del nascere. Ci sono strutture di serie A e di serie B e, di conseguenza, madri di serie A e serie B. Ottanta parti su cento procedono senza problemi ma gli altri possono essere anche ad altissimo rischio per la mamma e per il bambino» stigmatizza Massimo Moscarini presidente dell’Agui, Ginecologi universitari italiani. Che proprio per oggi a Roma, nell’ambito del loro congresso, organizza un incontro su “Ospedale e territorio dedicati alla donna”.
Donna che non sa che nel 50% dei nostri ospedali non si rispettano le regole di un parto doc. «La differenza sta nei numeri e nella composizione dell’équipe - aggiunge Moscarini. Non si seguono, cioè, i parametri sul numero delle persone coinvolte nell’intervento e sull’organizzazione del lavoro». Per poter definire idoneo un punto nascita, spiegano i ginecologi dell’Agui, ci vogliono una serie di figure reperibili 24 ore su 24 che non tutti gli ospedali se lo possono permettere. La maggior parte, infatti, nei giorni festivi e nelle ore notturne lavora sulla reperibilità delle diverse figure. O programma i cesarei per evitare che si nasca quando il servizio è scoperto. «Il gruppo da poter reperire anche in emergenza - è ancora Moscarini a parlare - deve essere formato da un anestesista, un neonatologo, un’ostetrica, un ginecologo. Persone qualificate pronte a qualsiasi tipo di parto, formate per fronteggiare ogni tipo di evento. Nessun evento medico è a rischio zero. Anche il parto, pur essendo un evento fisiologico, a volte è gravato da incognite improvvise. Per questo è fondamentale che la donna sia assistita in una struttura e da personale altamente specializzato. Gli ultimi fatti, oltre purtroppo ad allarmare le partorienti, vanno presi come “campanelli d’allarme” che testimoniano la necessità di un intervento deciso».
Un parto su tre al Sud avverrebbe in strutture non adeguate. Ma non è solo la posizione geografica la discriminante che genera la serie A e la serie B. In questo caso sono i numeri a fare la differenza. Esiste, infatti, una grande disparità di servizi tra gli ospedali dove si contano 200-300 parti l’anno e dove, sempre in dodici mesi, se ne fanno oltre 1500. Dove sono, per questione di numeri appunto, più forti ad affrontare ogni genere di emergenze. Ma, ninete panico e non si demonizzi il cesareo». Perché? Perché scarseggiano i fondi, replicano gli addetti ai lavori, perché il settore materno-infantile ha continuato ad andare avanti con le sue gambe senza essere troppo accudito.
Difficile non “demonizzare” il cesareo quando in quasi tutte le Asl è arrivata un richiesta per diminuirne il numero. Per far quadrare meglio i conti, per tutelare la salute della donna. A guardare i prezzi del cesareo e del parto naturale, infatti, si scopre che le cifre sono assai lontane tra loro. Ecco il tariffario il costo per il servizio sanitario nazionale: 1.295 euro se il parto è naturale, 2.717 se ci sono complicanze, 2.906 con il cesareo e 4.293 se ci sono complicazioni durante l’intervento. «Sì ci è arrivata la richiesta - spiega Giovanni Monchiero che guida la Fiaso, la Federazione dei direttori generali delle Asl - ma ogni situazione può valutare autonomamente come organizzarsi e decidere. Noi dobbiamo pensare prima di tutto alla sicurezza della madre e del bambino. E’, comunque, sempre il medico in scienza e coscienza a decidere. Non possono essere i dirigenti a dare indicazioni mediche per far quadrare i bilanci. Certo è che molte donne lo chiedono per non soffrire prima e dopo il parto. Certo è che la medicina difensiva ha cambiato le abitudini che regolavano il parto. Certo è che ci si deve predisporre ad una nuovo profondo cambiamento negli ospedali: ridimensionamento dei piccoli e maggiore sicurezza nei grandi. E il discorso vale anche per i reparti di ginecologia ostetricia». Su un punto i direttori generali hanno deciso di prendere una decisione unanime: nessun medico privato in sala parto dove può decidere unicamente il medico di turno responsabile. Leggi uguali per tutti.
Le tragedie di Messina hanno fatto risvegliare medici e politici da un lungo sonno. In pochi giorni sono state avviate quattro commissioni, sì quattro, di indagine sui punti nascita: censimenti, misure di sicurezza, programmazione per limitare il ricorso al cesareo. Oltre al ministero della Salute si sono messe al lavoro le commissioni Sanità del Senato e Affari sociali della Camera, quella sugli Errori sanitari e quella sull’Efficacia ed efficienza del servizio sanitario nazionale. Non saranno troppe?