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 2010  settembre 27 Lunedì calendario

2 articoli + tabelle allegate - SALVATE IL MEDICO DI PAESE 1 - «Appena la strada finisce parcheggi dove può; semmai vengo io a prenderla…»

2 articoli + tabelle allegate - SALVATE IL MEDICO DI PAESE 1 - «Appena la strada finisce parcheggi dove può; semmai vengo io a prenderla…». Sono queste le istruzioni che più temo quando ricevo una richiesta di visita domiciliare. Il bambino ha la febbre alta e tossisce. Devo verificare, soprattutto sedare un´ansia materna che non mi lascia tranquillo. Aggiungo questa all´altra bimba da visitare in un lontano altrove e parto per stradine sempre più strette, mal indicate da cartelli rugginosi che orientano nel nulla. In cima alla valle Scrivia, più alessandrini che genovesi, 380 assistiti risiedono dispersi su un´area vasta e a me ignota. Mi perdo, torno indietro, chiedo più volte ai pochi passanti. Finalmente trovo il luogo; qualcuno mi fa un cenno e saliamo su un sentiero fatto d´erba e pietre, sconnesse. «Ma quando nevica come fate a mandarli a scuola?» chiedo meravigliato. «Ci s´arrangia». Nuove famiglie, piene di bambini allegri, coppie giovani e coraggiose hanno scelto di stare dove sono nati. Oppure ci sono arrivati perché è qui che si riesce a comprare o affittare una casa con pochi soldi, un posto scomodo, ma dove l´aria è buona e il cibo costa meno. Non arrivo a 400 assistiti, proprio pochi, come pochi sono i soldi che passa l´Asl. Per raggiungere un numero che permetta un salario meno striminzito, bisognerebbe allargare l´area, affittare altri ambulatori da colleghi disponibili in comuni limitrofi, attendere anni che la gente ti conosca, il passaparola ti sia favorevole, qualche collega più anziano vada in pensione. Fare il medico in queste condizioni non paga. Basta fare due conti e ti rendi conto che tra gasolio e autostrada, affitto e imprevisti, quel che resta in mano alla fine del mese (pagato con ritardo cronico e ancora da tassare sul reddito cumulato) è poco: 1.300 euro. All´età in cui qualunque professionista "affermato" dovrebbe trarre frutto da una vita di lavoro, mi ritrovo con un salario da borsa di studio. Sarà questo che mi fa sentire così giovane? Credo piuttosto sia un altro tipo di gratificazione: sono un medico "curante" e faccio il mestiere che ho sempre desiderato. La gente mi chiama e chiede un aiuto pratico per risolvere problemi concreti: bambini che non crescono, dormono poco, mangiano male, incontrano virus, funghi e batteri, li scambiano tra asili e scuole, verificano quanto sia facile accendere focolai e vomitare a decine tutti insieme per due giorni di seguito. Curarli è bello eppure non facile; insegnare che gli antibiotici non si usano al primo apparire della febbre, che gli esami si fanno se esiste una ragione, gli specialisti vanno chiamati se davvero ce n´è bisogno e su quesiti non vaghi, il pronto soccorso non è un posto della domenica, scelto perché un padre preoccupato alimenta l´ansia della madre. Il telefono domenicale è quello della guardia medica. Il curante è chiuso nel proprio weekend dal venerdì sera e non è facile reagire con distacco di fronte a un termometro che indica 38° centigradi. Medico di campagna. Figura quasi romantica e dal profilo antico, eppure modernissima. È lui a giocare la parte più importante della Moderna Medicina. Se funziona, si evita lo spreco di ricoveri ed esami inutili, inutili complicazioni di malattie prevedibili, l´inutile accumulo di medicinali scaduti nelle case. Ma le nostre facoltà di Medicina selezionano i giovani con quiz alla "Rischiatutto" ed insegnano loro quasi tutto sulle sofisticatissime tecnologie del Dna. Quasi nulla su cosa significhi curare la gente. Non parlo di vecchi contadini ostinati e inamovibili ma di giovani precari, coppie miste, lavoratori immigrati: le energie più vitali per il nostro futuro. Per necessità o virtù, hanno scoperto una qualità di vita possibile fuori dal caos metropolitano. Ma i curanti sono pochi e resta loro nient´altro che portare il malato in ospedale. Tanto sinora sprecare si può. La medicina moderna può aspettare. PAOLO CORNAGLIA FERRARIS, la Repubblica 27/9/2010 SALVATE IL MEDICO DI PAESE 2 - Dice che, in fondo, non di solo pane vive l´uomo. «Qui l´aria è buona e le donne e gli uomini non sono solo "pazienti" ma persone. A volte si diventa anche amici. Visito G., gli faccio la ricetta, e poi magari andiamo a prendere un caffè insieme. Sono il medico di base negli otto Comuni della valle Maira ormai da 25 anni e posso dire di essere entrato nelle case di tutti». Carlo Ponte, 53 anni, è un mmg - medico di medicina generale - con 850 assistiti sparsi nella valle e sulle montagne cuneesi. «Fossi a Torino, mi basterebbero gli abitanti di tre palazzoni. E invece vado su e giù per la valle ad aprire i miei tre ambulatori e poi comincio con le visite a domicilio. La mia Golf ha 300 mila chilometri, tutti fatti a mie spese. Ci sono tanti colleghi che lavorano meno e guadagnano di più, ma non sono invidioso. Tornassi indietro, sceglierei ancora questo lavoro». C´era una volta il medico condotto, scomparso (sulla carta) nei primi mesi del 1980, con la realizzazione del Sistema sanitario nazionale deciso nel 1978. «Ma i medici di campagna e delle zone emarginate della montagna - dice Salvio Sigismondi, presidente dell´Ordine dei medici di Cuneo - somigliano molto a quelli che avevano la condotta. E continuano a lavorare in condizioni pesantissime. Orari che non finiscono mai, spese continue. Se stacchi il cellulare, ti chiamano a casa. Ma senza di loro, una fetta d´Italia sarebbe abbandonata». Anche il presidente dell´Ordine è un mmg, con tre ambulatori a Fossano e in due frazioni. «Che tu lavori in centro a Milano o sotto il Monviso, lo "stipendio" è uguale per tutti: 38,62 euro all´anno per ogni assistito, che presto diventeranno 40,05. Ma per avere 850 pazienti in montagna devi "occupare" un´intera valle. Non mi piace usare paroloni, ma credo che quelli che continuano a lavorare in certi territori siano eroi, o quanto meno missionari. Certo, non si potrà resistere a lungo. Come Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri abbiamo studiato la curva anagrafica dei medici di medicina generale. Abbiamo scoperto che fra il 2015 ed il 2025 - per chi si occupa di programmazione sanitaria è già domani - circa 25 mila mmg andranno in pensione e non saranno rimpiazzati perché mancheranno i laureati. Circa 11 milioni di italiani resteranno dunque senza medico di base, e saranno quelli che abitano in campagna o in montagna, dove già i servizi sono al minimo. Se hai la broncopolmonite a Torino, puoi andare direttamente al pronto soccorso. In montagna l´ospedalizzazione è più difficile, bisogna fare arrivare l´ambulanza su strade quasi impossibili o fare atterrare, quando ci si riesce, l´elicottero. Se non cambiano molte cose, presto avremo solo medici di città». Fino al 2006 il dottor Carlo Ponte aveva otto ambulatori. Ora ne ha tre, ad Acceglio, Prazzo e Stroppo. «Non ce la facevo più a essere presente ovunque. Anche perché il lavoro è cambiato con l´informatizzazione. Mi spiego. Già prima, negli otto ambulatori, tenevo le cartelle cliniche di tutti i pazienti, con tutti i referti, gli esami, le diagnosi… Migliaia e migliaia di pezzi di carta che, con la nuova normativa, io devo inserire al computer per conoscere il passato di ogni paziente. Ma questo porta via un sacco di tempo e ho dovuto chiudere i cinque ambulatori, anche per non dovere comprare, oltre al pc, anche otto stampanti. Chi decide in alto, forse non è mai stato nelle nostre vallate. Computer e stampanti, con il gelo a meno 15, si bloccano, e tanti nostri ambulatori vengono riscaldati solo quando sono aperti. Presto, secondo il ministro Brunetta, dovremo mandare i certificati di malattia Inps via computer, ma qui internet non funziona. Per mandare un certificato dovrei correre a casa mia a Prazzo dove, ovviamente a mie spese, ho il collegamento alla rete. Ma resisto. In servizio dal lunedì al venerdì dalle 8 del mattino alle 8 di sera, quando scatta la guardia medica che era in valle ed ora, per risparmiare, è stata portata a Dronero. Al sabato sono reperibile fino alle 10. Ma conosco tutte le famiglie e tutte le persone, qualcuno mi cerca sempre». Uno degli ambulatori chiusi era a Elva, dentro al municipio. Dieci chilometri su una strada a strapiombo, per arrivare in un paese bellissimo e ormai abbandonato. «Ci sono stato anche di notte - dice il dottor Ponte - e ho dovuto cercare la casa di chi mi aveva chiamato con la pila». Oggi i residenti sono 100, ma gli abitanti sono appena 24, divisi in 29 borgate, 13 delle quali completamente abbandonate. «Quando è stato chiuso l´ambulatorio - racconta Edo Loria, arrivato anni fa da Cuneo per aprire il ristorante San Pancrazio - il paese si è sentito orfano, come quando hanno chiuso la posta, la parrocchia, la scuola. Se nasce un bambino, qui non trova nemmeno un´altalena per giocare. Non siamo ancora riusciti a costruire una pista di atterraggio per l´elicottero di soccorso». Anche gli ultimi medici condotti, che hanno ricevuto l´incarico alla fine degli anni ´70, sono ormai andati in pensione. «Arte più misera, arte più rotta - ha scritto il poeta Arnando Fusinato nel 1845 - non c´è del medico che va in condotta». L´uomo con lo stetoscopio era l´ultima ruota del carro. «Lo stipendio annuo di un medico agli inizi del ´900 - ha scritto Maurizio Benato, vice presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici - che esercita in una condotta per soli poveri è di lire 1.719, mentre il sanitario che esercita in una condotta piena (con anche pazienti abbienti, ndr) percepisce lire 2.337. Il paragone con altre professioni è impietoso: un pretore guadagna 8.000 lire, una maresciallo dei carabinieri 4.500 con in più l´alloggio». I versi di Arnaldo Fusinato sono ben noti a Silvio Ricca, classe 1932, prima medico ospedaliero a Mondovì poi, dal 1963, medico condotto a Caraglio e val Grana, su fino a Castelmagno. «Ho avuto - racconta - fino a 3.900 mutuati. Ho lavorato tanto ma ho avuto tante soddisfazioni. Per tutti ero il dutur, sapevano di potermi chiamare a ogni ora». Ventiquattro ore di servizio al giorno, dieci giorni di ferie solo se pagavi il sostituto. Gli ambulatori erano forniti dai Comuni. «D´inverno, a Pradleves e Castelmagno e in tutte le frazioni, non veniva spalata la neve. Per arrivare da un malato, a piedi sui sentieri, fra andata e ritorno ci mettevi un giorno - ricorda Ricca-. Il dutur era stimato perché cercava di dare una risposta a ogni problema. Ho fatto nascere bambini con il forcipe, con una grande paura addosso perché, se sbagli, il bimbo resterà disgraziato per sempre. Ho ricucito tendini, ho saturato ferite. Ero anche ufficiale sanitario, e non ho mai firmato un certificato di morte senza vedere e controllare il defunto. Ho dovuto mandare gente in manicomio. Certo, i tempi erano diversi». Tutto è cambiato, anche la morte. «Si moriva in casa, un tempo. I vecchi erano assistiti fino all´ultimo. Poi la Fiat e la Michelin hanno spopolato le montagne e gli anziani sono rimasti soli. La morte è cambiata perché è cambiata la famiglia. Si lavora tutti come matti, non puoi perdere tempo nell´assistenza. A piedi, in auto, in elicottero: ho conosciuto ogni angolo della mia montagna. Se salvi una vita, o almeno porti un aiuto, sei contento. E tanti hanno fatto capire di volermi bene. Mi regalavano le uova, per ringraziamento. E chi poteva anche un coniglio, una gallina, un pane di burro». Qualcuno arriva anche adesso, nella casa del dutur. «Ogni tanto, qualche visita la faccio ancora. Così, per un consulto. Una certa esperienza me la sono fatta. Senza farmi pagare, naturalmente. Resto sempre un medico condotto». JENNER MELETTI, la Repubblica 27/9/2010