FEDERICO RAMPINI , la Repubblica 27/9/2010, 27 settembre 2010
È FINITA LA RECESSIONE RECORD MA DA QUINDICI MESI LA RIPRESA USA GIRA A VUOTO - NEW YORK
Il fuggi fuggi dei consiglieri economici di Barack Obama, accelerato la settimana scorsa con l´annunciata partenza del "consigliere del principe" Larry Summers, segnala un disagio molto più profondo. Rivela la mancanza di nuove idee - in America e in tutto l´Occidente - per affrontare una crisi ormai diversa da tutte le crisi che l´hanno preceduta. Per una coincidenza singolare, la fuga degli economisti dalla Casa Bianca è avvenuta mentre l´arbitro supremo della congiuntura decretava la fine della recessione. Questo atto in America spetta al Business Cycle Dating Committee. E´ un gruppo di esperti che risponde al National Bureau of Economics Research. Sono loro a stabilire l´inizio e la fine di una recessione. E´ un annuncio delicato, che non si dà a cuor leggero viste le implicazioni sulle scelte di governo, il dibattito politico, la fiducia dei mercati e dei risparmiatori. Perciò viene fatto solo dopo avere digerito una montagna di dati (il Pil e anche i redditi, l´occupazione, la produzione industriale), un lavoro che fatto seriamente richiede molto tempo. Perciò solo adesso è giunto quel verdetto, per certi versi sorprendente: gli Stati Uniti sono usciti dalla recessione già nel giugno 2009.
In teoria dunque la ripresa è già vecchia di 15 mesi. Perché non se ne vedono gli effetti? Perché l´analisi dei supremi giudici del Business Cycle Dating Committee aggiunge altre cose, più importanti. Anzitutto, poiché la recessione cominciò nel dicembre 2007, è durata 18 mesi «ed è quindi la più lunga dalla seconda guerra mondiale». Ha superato perfino il tremendo choc petrolifero del 1973-75. Inoltre, avvertono i "giudici togati" dell´economia americana, «quella del 2007-2009 non solo è stata la recessione più lunga ma anche la più profonda per la distruzione di posti di lavoro». Constatare che sia finita «non significa affatto che l´economia sia tornata a funzionare a un ritmo normale» anche se la chiusura del Tarp, il fondo da 700 miliardi creato per evitare i crac bancari, testimonia che almeno quell´emergenza è superata. Al contrario il dopo-recessione ha un´anomalìa grave: «Da quando la ripresa è ufficialmente cominciata gli Stati Uniti continuano a perdere più posti di lavoro di quelli che creano». Per la precisione dalla "fine" della recessione la perdita netta è stata di 329.000 posti in 15 mesi. Di questo passo, avverte Robert Gordon della Northwestern University che è uno dei membri della grande giuria, «la disoccupazione resterà sopra il 9% della forza lavoro fino alle elezioni presidenziali del 2012». E´ un livello storicamente altissimo, inusuale per gli Stati Uniti, socialmente insostenibile. «Se vogliamo fare qualcosa per impedirlo - conclude subito - bisogna cominciare subito». A fare cosa?
E´ qui che la fuga degli economisti di Obama assume una rilevanza particolare. Summers, che era già stato il segretario al Tesoro di Bill Clinton, è stato considerato per decenni uno degli ingegni più brillanti nel suo campo. Alla radice del suo pensiero c´è una convinzione che è diventata dominante per la classe dirigente americana: la globalizzazione è "un gioco a somma positiva", da cui gli Stati Uniti possono trarre enormi benefici nello stesso tempo in cui ne traggono giovamento la Cina, l´India, il Brasile e le altre potenze emergenti. Questo assunto vacilla paurosamente sotto lo choc dell´ultima recessione. Nel 2009, per esempio, sono aumentati del 59% rispetto all´anno precedente i lavoratori americani il cui licenziamento è dovuto all´effetto del commercio estero. Coloro che perdono il posto e poi riescono a ritrovarlo, negli Stati Uniti, adesso in media devono accontentarsi di un reddito inferiore del 20% rispetto all´attività precedente. E il "made in Usa" ormai rappresenta solo il 5% della produzione mondiale di pannelli solari, nonostante che questa tecnologia sia stata inventata in America negli anni 80. Una certa idea della globalizzazione insegnava che i posti di lavoro perduti nell´industria manifatturiera si potevano recuperare nei servizi, e che l´America si sarebbe adattata alla competizione dei paesi emergenti spostandosi su attività sempre più qualificate. Invece ormai l´export della Cina o del Brasile verso il mercato Usa si sta spostando su prodotti ad alta tecnologia. Questo spiega le crescenti tensioni commerciali con Pechino e la voglia di protezionismo che sale al Congresso di Washington.
Il tramonto dell´èra Summers si apre su un vuoto: non vi è una carenza di donne e uomini per riempire il suo ruolo, ma è latitante una strategia alternativa. Il partito repubblicano, che sente odore di vittoria alle legislative di novembre, ha presentato il suo programma economico intitolato "Pledge to America": un impegno con l´America. E´ un riciclaggio di vecchie ricette: Stato minimo, regali fiscali ai ricchi. Ha commentato il miliardario Warren Buffett: «Siamo in piena lotta di classe, ma è la mia classe quella che la combatte e la sta vincendo». Dal 1945 al 1979 l´un per cento degli americani più ricchi guadagnava il 10% dei redditi nazionali; dal 1980 in poi la loro quota è raddoppiata. Il ritorno alle politiche economiche di George Bush non può rappresentare una soluzione credibile neppure per Wall Street, perché aumenterebbe il debito pubblico che è un incognita per i mercati.
In mancanza di nuove idee l´unico attore che si prepara ad agire è la Federal Reserve. La banca centrale moltiplica i segnali di un imminente ritorno al "quantitative easing": in sostanza si tratta di acquisti di titoli di Stato per pompare liquidità nel sistema. Ma la liquidità non viene investita, le imprese americane fanno lo sciopero degli investimenti perché non hanno visibilità sul futuro. Mantengono il 6,2% dei loro attivi in cash, un record dagli anni 60, e un segnale di sfiducia. Alla fine la pompa della liquidità usata dalla Fed servirà solo a indebolire ulteriormente il dollaro. Si aiuta l´export americano con un po´ di svalutazione competitiva. Tentando cioè di scaricare le difficoltà sull´Eurozona. Due zoppi che si appoggiano l´uno sull´altro, Usa e Unione europea, difficilmente possono scattare in avanti.