Franco Bechis, Libero 26/9/2010, 26 settembre 2010
FUORI TEMPO PER LA PACE
Dopo avere dato dell’infame a ogni giornalista che ha sollevato dubbi sulla vendita della casa di Montecarlo, Gianfranco Fini ha ammesso di essere roso dal dilemma: non è che mio cognato Giancarlo Tulliani mi ha tirato un pacco? Quel che saltava all’occhio di qualsiasi italiano il 29 luglio in una sessantina di giorni è diventato un tarlo perfino nell’animo del presidente della Camera dei deputati. Ci saranno pure politici che funzionano come i vecchi diesel, ma ci voleva così tanto tempo per ammettere che forse non aveva capito nulla di quel che avvenne nel suo partito e nemmeno di quel che è avvenuto fra le mura di casa? No, non è solo una questione di un banale e assai poco credibile ritardo di com-prendonio. La soluzione temo sia assai più semplice. Per settimane Fini ha attaccato la libera stampa con insulti che nessun leader politico (figurarsi chi ricopre una carica istituzionale) si era mai permesso. Ha escluso in ogni modo che quella casa possa essere andata alla sua famiglia. Ha attaccato con questa sicurezza tutti dal palco di Mirabello. Ha annunciato spavaldo al Tg7 di Enrico Mentana: «Quando sapremo la verità, rideremo». Ieri tutta questa sicumera è venuta meno, si è squagliata come neve al sole. Sono cambiati i fatti? No. La ricostruzione temporale fatta ieri da Fini lo esclude: dice di avere seguito i consigli del cognato per vendere, dice di essersi arrabbiato molto quando ha saputo che lui era inquilinol ì, dice di avergli chiesto di fare le valigie, ma die ssere stato inascoltato. Dice di avere preteso da lui la verità sulla proprietà di quella casa, e che lui avrebbe assicurato che non è sua. Ma di non fidarsi al cento per cento.
Quindi non c’è un fatto nuovo accaduto: la situazione è la stessa dei primi di agosto. Se per 60 giorni Fini ha giocato all’attacco, dicendo perfino ieri mattina parole gravi e pesantissime sui servizi deviati usati per metterlo ko (poi ret-tificando a sera) e ora è costretto alla difesa, è perché era certo di potere confondere le acque su quella proprietà e ieri in giornata questa certezza è crollata. Probabilmente anche lui si è reso conto che quella smoking gun che veniva dal salvagente offerto in extremis dall’avvocato Renato Ellero aveva le polveri bagnate. Spunta dopo due mesi dal nulla un misterioso proprietario della casa, e forse Fini ha saputo cosa c’era davvero dietro questa novità (ad esempio una cessione assai recente della pro-prietà). Quel che è avvenuto ieri è propri tutto qui. Le infamità di cui erano accusati Libero e il Giornale (indizi su Tulliani, dubbi sul prezzo della vendita, scelta delle offshore a cui vendere incomprensibile) si sono magicamente trasformate nella nuova versione del presidente della Camera. Già, su Tulliani non mette la mano sul fuoco, e anzi è disposto a dimettersi se emergesse questa verità perché sa di averla negata con forza e scarsa prudenza. Prezzo della casa? Scelta delle off-shore? Forse ha commesso una leggerezza. Fini è sembrato un editorialista di Libero a scoppio ritardato. Poi, certo ,ha provato a motivare la sua sgangherata difesa di questi sessanta giorni sostenendo di essere stato vittima sacrificale, costretto a reagirecosì. Ma anche qui non dice la verità. Magari la dirà fra sessanta giorni, quando il diesel interiore finalmente carburerà. Sostiene ad esempio di essere stato minacciato da Vittorio Feltri con un articolo che diceva «magari spunta qualcosa dai cassetti anche su lei...» e subito dopo ecco lì, il dossier su Montecarlo. Ricorda male, Fini. L’articolo era del settembre 2009, e mica alludeva ad anonimi scheletri nell’armadio. Citava con tanto di nome e cognome una vecchia inchiesta su escort che entravano a Montecitorio ed erano state intercettate a combinare serate a luci rosse con l’entouragedi Fini.
I primi articoli su Montecarlo sono apparsi dieci mesi dopo, e non c’entravano nulla con quella che il presidente della Camera ha interpretato come una minaccia (orami qualsiasi notizia a lui sgradita è diventata un attentato alla democrazia). Con imprecisioni qua e là, quello di Fini ieri è stato un discorso che avrebbe fatto perfino tenerezza due mesi fa. Un leader così in disarmo, che ammette di non contare nulla in casa e che chiunque poteva dargliela a bere al partito, avrebbe anche mosso una lacrimuccia a fine luglio. Pover’uomo, guarda te in che famiglia e in che partito si è andato a infilare, dove tutti glie la fanno sotto il naso e se lui dice qualcosa non se lo fila nessuno. Ma due mesi dopo, con tutta la prepotenza, gli insulti, le prove di forza mostrate, il discorso della resa ha solo il sapore di una beffa amara.