Matteo Persivale, Corriere della Sera 27/09/2010, 27 settembre 2010
«MANAGER A SALISBURGO PER LA MUSICA ITALIANA» —
Fenomeno discografico, interprete di opere conosciutissime (da Le nozze di Figaro a Così fan tutte) e archeologa di opere dimenticate ( Clari di Halévy), seguace della grande cantante ottocentesca Maria Malibran e paladina dei cantanti sublimi — e dimenticati — dell’era dei castrati, sacerdotessa del culto della coloratura, celebrità mondiale della lirica, cavaliere delle arti e delle lettere della Repubblica Francese, regina dell’Opera di Zurigo (dove Wagner in esilio creò L’oro del Reno, la Valchiria e progettò il Parsifal). E ora, prima donna a dirigere il Festival di Pentecoste a Salisburgo, dove nel 2012 subentrerà a Riccardo Muti.
Cecilia Bartoli è felice: «E’ un traguardo che mi rende molto orgogliosa, un traguardo importante dopo due decenni di lavoro al fianco di Alexander Pereira, direttore dell’Opera di Zurigo e ora del Festival di Salisburgo (che ha riconosciuto al mezzosoprano "coraggio ammirevole alla ricerca della fantasia e della qualità")».
E il lavoro sarà proprio basato sulla ricerca: «Cominceremo dal Giulio Cesa
re di Händel, che per me è l ’ opera pi ù bel l a di quel grande. Tanti altri compositori hanno creato un loro Giu
lio Cesare: vedremo di portare in scena opere mai — o quasi mai — viste. In questo senso la continuità col lavoro del maestro Muti che al festival di Pentecoste negli ultimi anni ha indagato così a fondo sulla Scuola Napoletana è evidente. E poi, sono felice che continui una linea italiana al Festival di Pentecoste. La musica nel nostro Paese è in difficoltà grave: in questo momento è importante per noi continuare a avere un ruolo di rilievo nel mondo».
Ha appena cantato al MiTo e continua il tour europeo del suo recital, prepara Le Comte Ory per Zurigo a gennaio ma ha anche un cd in usci t a : « Sospiri » . Dopo l’omaggio a Maria Malibran e quello ai castrati, un’antologia di arie già incise e pubblicate in passato — Mozart, Händel, Bellini, Vivaldi... — ma con due novità, un Vinci e un Rossini «filologico» con strumenti d’epoca.
Proprio Rossini la affianca al musicologo Philip Gossett che ha curato una nuova edizione critica del Comte Ory: «Il professor Gossett lo conosco da sempre: uno studioso eccezionale che di Rossini conosce vita, morte e miracoli: scherzando, a volte gli dico che lui sa tutto perché è un parente americano di Rossini».
Il metodo che ha permesso a Cecilia Bartoli di costruire una carriera così particolare: «E’ fondamentale avere buoni consiglieri. Per Mozart devo dire grazie a Daniel Barenboim che mi incitò a studiarlo a fondo, mi chiese di cimentarmi. Per il reper
torio barocco ho imparato tanto da Harnoncourt. All’inizio il mio maestro fu Karajan: un mentore così non si dimentica più. Quel che ho capito in questi anni è che agli inizi bisogna farsi guidare dai propri maestri: poi, avanzando con la carriera, si comincia a dialogare, a scambiare idee. Così si cresce: noi cantanti abbiamo lo strumento più flessibile, il dialogo con i grandi direttori è essenziale. Si crea musica insieme».
Dentro « Sospiri» c’ è anche un’escursione verista per lei insolita, «Tutto tace» dall’Amico Fritz di Mascagni: «L’idea nacque tanti anni fa per poter cantare con Pavarotti. Lui aveva cantato Idomeneo ma scherzando diceva "Mozart è troppo difficile per me", così c’erano poche alternative. Il suo repertorio era molto caratterizzato e dunque fui io a cimentarmi con il Verismo. Del Pavarotti cantante ricordo la tecnica pazzesca, perché non era solo talento ma nel fraseggio, nella dizione. Aveva in gola uno Stradivari ma era lui, con la sua tecnica e la sua intelligenza artistica, a guidare quello strumento di per sé già unico. Sono Pavarotti e Kraus i due tenori del passato che ammiro di più. Oggi c’è Juan Diego Florez: nel suo caso quel che dicono tutti, cioè che è un fenomeno, non è la solita esagerazione».
A 44 anni Cecilia Bartoli è nel pieno della carriera: a più di 50, cantanti liriche come il soprano americano Renee Fleming e il mezzo tedesco Waltraud Meier restano comodamente sulla vetta. Ma l’idea che l’incarico di direttore al Festival di Pentecoste non sarà la prima e ultima carica manageriale della vita artistica di Cecilia diventa sempre più concreta: «Beverly Sills diresse molto bene la New York City Opera e il Met. Altre cantanti sono diventate manager di teatri d’opera: è un modo interessante per continuare la carriera. Nel mio caso è ancora presto per pianificare con una scadenza tanto lunga: però certo, l’idea mi è venuta...».
Matteo Persivale